Dokument-Nr. 13268
Pacelli, Eugenio an Merry del Val, Raffaele
München, 11. Februar 1923

Regest
Weisungsgemäß bat Pacelli die deutschen Bischöfe, in deren Diözesen französische Truppen stationiert sind, um eine Stellungnahme zur Anfrage des Militärbischofs der französischen Besatzungstruppen im Rheinland Rémond, ob er russisch-orthodxe Flüchtlinge als Sänger in deutschen katholischen Kirchengemeinden zulassen kann. Der Nuntius übersendet die Antworten der Bischöfe und gibt eine persönliche Einschätzung zu der Anfrage ab. Pacelli führt verschiedene Instruktionen und Dekrete von römischen Kongregationen an, welche die kirchliche Gemeinschaft mit Schismatikern generell und die Frage nach der Zulassung von Sängern aus anderen christlichen Konfessionen speziell behandeln. Da für die Anfrage Rémonds aber vor allem die konkrete Situation in Deutschland betrachtet werden müsse, schließt sich Pacelli der Einschätzung der Bischöfe von Trier, Mainz und Limburg an, wonach eine positive Antwort auf die Frage die Gläubigen empören und den religiösen Indifferentismus wie den Interkonfessionalismus befördern würde. Vor allem, weil Rémond nicht von einer einfachen Duldung, sondern von einer aktiven Einladung spricht, rät Pacelli von einem positiven Bescheid auf die Anfrage ab, vor allem hinsichtlich der ersten beiden Fragen, die den Gesang von ganzen Chören betreffen. In Bezug auf den dritten Aspekt, der nach der Einbeziehung einzelner russisch-orthodoxer Sänger in katholische Chöre fragt, empfiehlt Pacelli, eine gewisse Toleranz zuzulassen, und verweist dafür auf die Berichte von Pater Sierp, der die Beteiligung von Protestanten in der Kirchenmusik katholischer Kirchen in Deutschland, Dänemark und Schweden referiert. Abschließend informiert der Nuntius über die Erwägungen des Heiligen Stuhls, einen Bischof für die Seelsorge an den nach Deutschland geflüchteten Russen zu ernennen.
Betreff
Sull'esposto del Revmo Mons. Rémond, Cappellano Ispettore dell'esercito francese sul Reno
Eminenza Reverendissima,
Non appena mi pervenne il venerato Dispaccio dell'Eminenza Vostra Reverendissima N. 531-1922 in data del 17 Gennaio scorso, relativo all'esposto del Revmo Mons. Paolo Rémond, Vescovo tit. di Clisma e Cappellano Ispettore dell'esercito francese sul Reno, mi diedi premura di interpellare al riguardo gli Ordinari delle diocesi, nei cui territori trovansi truppe francesi, cioè l'Emo Sig. Cardinale Schulte, Arcivescovo di Colonia, ed i Revmi Vescovi di Limburgo, Spira, Magonza e Treviri. L'Eminenza Vostra troverà qui compiegate le risposte pervenutemi dai suddetti Prelati.
Siccome poi Ella mi ordinava al tempo stesso di aggiungere il mio umile parere al riguardo, mi permetto di osservare rispettosamente e subordinatamente quanto segue:
Com'è ben noto, "communicatio in divinis cum haereticis et schismaticis ut illicita regulariter habenda est
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in praxi, vel ob periculum perversionis in fide catholica, vel ob periculum participationis in ritu haeretico et scismatico, vel denique ob periculum et occasionem scandali" ( Instr . S. C. de Prop . Fide 1729 pro Missionariis Orientis). "Illicitum est ergo in sacris functionibus haereticos in chorum invitare, alternis psallere, dare iis pacem, sacros cineres, candelas et palmas benedictas, aliaque id genus externi cultus, quae interioris vinculi ac consensionis indicia iure meritoque existimatur" ( Instr . S. C. S. Officii 8 Junii 1859 [sic]). Ciò non esclude tuttavia che detta comunicazione possa in alcuni casi essere tollerata, giacché, secondo la dottrina di Benedetto XIV, "communicatio in divinis cum haereticis non potest nec debet tam facile ac tam generaliter pronunciari in omni penitus circumstantia de iure vetitam" (S. C. S. Officii 24 Februarii 1752). A tale riguardo occorre principalmente distinguere la comunicazione nei riti propri della setta eretica o scismatica dalla comunicazione cogli eretici nei riti cattolici. Quanto alla prima, "difficillime casus inveniuntur, in quibus ea communicatio liceat" (cfr. Instructio sopra citata della S. C. de Prop. Fide); la seconda invece non sempre è illecita. E così nulla osta,
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ad esempio, a che gli eretici e gli scismatici assistano alle sacre funzioni, "non se immiscentes precibus ac ritibus catholicis" (cfr. la succitata Instr . S. C. Officii – 8 Junii 1859 [sic]). Che anzi, secondo il can. 1149, "benedictiones, dari possunt, nisi obstet Ecclesiae prohibitio, etiam acatholicis ad obtinendum fidei lumen vel, una cum illo, corporis sanitatem". Ciò nondimeno, secondo i decreti della S. Sede (i quali però al presente sembrano avere nella prassi una più mite interpretazione), non sarebbe lecito di invitare gli acattolici alle sacre funzioni. Così, infatti, si legge nella Instr . S. C. de Prop . Fide [sic] (29 Jan. 1763 ad Praef. Miss. Tripolit.): "Sebbene possa tollerarsi che i protestanti intervengano di spontanea loro volontà alle sacre funzioni, che fanno i cattolici nella propria chiesa, … non devono però i medesimi cattolici invitare gli eretici ad intervenirvi, cooperando coll'invito alla comunicazione in divinis, a cui si oppongono lo spirito e le leggi della Chiesa in tutte le occasioni pubblicate e fatte note al gregge cattolico ed a quelli cui ne è commessa la cura". E parimenti cotesta Suprema (22 Septembris 1763):
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"Accessum graecorum non unitorum ad ecclesias catholicorum posse permitti, dummodo iis non administrentur Sacramenta, neque quoque modo communicent in divinis, nec ad hujusmodi adventum fuerint invitati". – D'altra parte, lo scandalo ed il pericolo di perversione dovranno giudicarsi secondo le varie circostanze, specialmente di luogo, e quanto maggiori l'uno e l'altro appariranno, tanto minore potrà essere la tolleranza.
In particolare, per ciò che riguarda l'ammettere gli acattolici a cantare nelle chiese, sono da ricordarsi tre decisioni già emanate da cotesta Suprema S. Congregazione. Nella prima (7 Julii 1864Archiep. Smyrn.) al quesito: "Si possono gli eretici far cantare nelle nostre chiese ed assistere all'altare per servire la Messa?" la prelodata S. Congregazione rispose: "Ad utramque partem: Negative". – Nella seconda (1 Maii 1889) il Vicario Apostolico N. "implorava in via d'eccezione la facoltà di permettere ad alcuni scismatici ed eretici, eventualmente anche israeliti, specialmente fanciulli e fanciulle, che frequentavano le scuole congregazioniste, di poter cantare nelle nostre chiese ed oratori, essendo scarso il numero di cantori e cantatrici cattoliche",
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ed aggiungeva che "ciò riusciva a maggior decoro delle funzioni, massime nel mese di maggio, e nelle grandi solennità" e che "con tal mezzo si allettano gli eterodossi a frequentare le nostre funzioni che loro piacciono assai; frequenti volte è questo il principio del loro riavvicinamento, e poi della loro conversione." Sebbene, però, si trattasse di "un costume assai diffuso in Oriente, specialmente nelle scuole delle Congregazioni religiose", e tale che "volerlo togliere affatto non sarebbe stato scevro d'inconvenienti", pure cotesta Suprema rispose: "Instet Vicarius Ap. ut quo citius et efficacius amoveantur abusus de quibus agitur; et interim curet ut pueri catholici doceantur accurate cantus liturgicos". – Tuttavia in un terzo caso più recente, proposto dal Revmo Vicario Apostolico di Sofia e Filippopoli, il quale aveva chiesto se potesse, in determinate circostanze, tollerarsi l'uso ivi invalso "ut in functionibus ecclesiasticis ac praesertim in expositione ac beneditione cum Sanctissimo, uti etiam ante et post illam, puellae schismaticae una cum catholicis in ecclesia parochiali canant" la medesima Suprema S. Congregazione, attentis peculiaribus circumstantiis in casu concurrentibus, decise: "Prout exponitur a Vicario Apostolico Sophiae et Philippopolis, tolerari posse" (24 Januarii 1906).
Per venire ora più specialmente ai dubbi sottomessi dal Revmo Mons. Rémond, occorre soprattutto aver riguardo alle condizioni della Germania. Sotto questo rispetto non potrei in massima che associarmi alle osservazioni dei Revmi Vescovi di Treviri, di Magonza e di Limburgo, i quali stimano
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che, se quei dubbi avessero una soluzione affermativa, ne verrebbe scandalo ai fedeli e si fomenterebbe l'indifferentismo religioso e l'interconfessionalismo. Nel caso attuale si verificherebbero per conseguenza il "periculum perversionis in fide catholica" ed il "periculum et occasio scandali", di cui è parola nella summenzionata Istruzione della S. Congregazione de Propaganda Fide. Per questa considerazione, e tenendo altresì presente che nell'esposto del più volte nominato Mons. Rémond è questione non di semplice tolleranza o dissimulazione, ma di positivo invito, parrebbe più opportuno di non accogliere, almeno in linea generale, favorevolmente la domanda, pur ispirata alle migliori intenzioni, del sullodato Prelato.
Tuttavia che i singoli punti della medesima richieggono, se non m'inganno, una qualche distinzione. Nei due primi quesiti, invero, si tratterebbe di chiamare a cantare nelle chiese cattoliche non scismatici uti singuli, ma delle corporazioni o società corali; il che offrirebbe occasione di maggiore pubblicità e scandalo. Che se anche l'esecuzione dei loro canti avesse luogo al di fuori e senza connessione con alcuna funzione sacra, vale a dire come semplici concerti artistici, non si avrebbe bensì comunicazione in sacris, ma, a quanto sembra risultare dalle accluse risposte dei Revmi Ordinari, provocherebbe ammirazione che per società corali
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scismatiche si scelgano a tale scopo precisamente i templi cattolici, e non delle sale profane, massime ove esiste una chiesa russa, come in Wiesbaden. – Nel terzo punto invece si fa parola soltanto di scismatici pauci e uti singuli, che dovrebbero essere associati ai cantori cattolici nelle funzioni liturgiche; ora in ciò la terza delle surriferite risposte di cotesta Suprema lascia tuttavia adito ad una qualche tolleranza. Debbo anzi aggiungere che, a quanto mi è stato riferito specialmente dal Rev. P. Sierp S. J., in Germania, in Danimarca, in Svezia, ecc., soprattutto nei luoghi ove sono scarsi i cattolici, si verificano casi di protestanti, i quali sono ammessi senza scandalo (come si afferma) a suonare l'organo od a cantare nelle chiese cattoliche, naturalmente non nel coro o presbiterio, ma nella cantoria. L'Eminenza Vostra giudicherà quindi se e dentro quali limiti sia forse possibile a questo riguardo una più benigna soluzione. Finalmente, quanto alla questione di competenza toccata in qualcuna delle unite lettere degli Ordinari, credo mio dovere di rilevare che la S. Sede esamina ora la proposta di "nominare un Vescovo che si assuma la cura spirituale dei profughi Russi ospitati in Germania, come si è fatto in Francia colla nomina di Mons. Chaptal, Ausiliare di Parigi" (Dispaccio dell'Emo Sig. Cardinale Segretario di Stato N. 13459 in data del 3 corr.).
Dopo di ciò, chinato umilmente al bacio della s. Porpora, con sensi di profondissima venerazione ho l'onore di confermarmi
Di Vostra Eminenza Reverendissima
Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servo
+ Eugenio Pacelli Arcivescovo di Sardi
Nunzio Apostolico
Empfohlene Zitierweise
Pacelli, Eugenio an Merry del Val, Raffaele vom 11. Februar 1923, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 13268, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/13268. Letzter Zugriff am: 29.03.2024.
Online seit 24.10.2013, letzte Änderung am 20.01.2020.