Betreff
Circa uno scritto del Sac. Rademacher, professore nella Facoltà
teologica di Bonn: "L'idea della unità nella teologia ed il parallelismo della grazia e
della natura" (Der Einheitsgedanke in der Theologie und der Parallelismus von Gnade und
Natur – Ein Beitrag zur Methodenlehre der katholischen Theologie)
Il 20 Giugno scorso mi venne comunicato da buona fonte
seria che il professore di apologetica nella Facoltà teologica della Università di Bonn,
Sac. Dott. Arnoldo Rademacher, aveva scritto un libro, che
per le sue tendenze modernistiche
non
aveva avuto ottenuto l'"Imprimatur" dalla Curia Arcivescovile di Colonia, ma
che, malgrado
ciò, egli
si proponeva di diffonderlo fra i suoi amici come
"manoscritto". Sapendo che l'ottimo Mons. Prof. Kaas di Treviri doveva recarsi
prossimamente in detta
C
città di Colonia, lo pregai di as procurarmi
al riguardo esatte informazioni pur esprimendo al tempo stesso
la sicurezza che i
l zelante Emo
Card. Schulte avrebbe [sicu] preso mancato,
in caso di bisogno, di prendere
gli
opportuni provvedimenti
in proposito.
L Il sullodato Emo, mi scrisse
infatti [sul] per suggerimento di Mons. Kaas, mi scrisse
difatti sull'argomento
una lettera in
data
30 dello stesso mese di Giugno, che qui acclusa
compio il dovere di trasmettere all'E. V. R. insieme alla
traduzione in italiano
ed ai due [sic] relativi Allegati In essa il Cardinale
Schulte, dopo avermi narrato dato le desiderate notizie, aggiungeva di avere
esortato ritirato ail Sac. Rademacher
69v
il permesso già accordatogli di distribuire privatamente e
come mandsc "manoscritto" cento copie del suo lavoro a competenti teologi cattolici,
affinché lo giudicassero,
e di averlo invece esortato a di sottoporlo innanzi
tutto al giudizio della S. Sede.
Il Rademacher ha
seguito
il suggerimento dell'Emo Arcivescovo e mi ha inviato l'
esemplare del suo
lavoro, che qui unito
compio il dovere di trasmettere
all'E. V.
con preghiera di sottometterlo alla censura della S. Sede medesima, la cui
decisione egli dichiara che "accetterà come definitiva", aggiungendo l'assicurazione che
"egli" in tutto il suo insegnamento non ha avuto e non
avrà dinanzi agli occhi se non il bene della S. Chiesa". L'Autore osserva
pure circa il
suo
scritto
quanto segue: "Lo
scritto si pone a priori interamente sul terreno del
d
ogma e, partendo da questo, intraprende il tentativo metodico di
rendere più accessibile alla ragione all'intelletto la cooperazione della grazia e
della natura. Per mettere ancor più in evidenza il carattere puramente metodico dello
scritto, ho premesso un'ampia prefazione, la quale di
eliminare eventualmente l'obbiezione che la soluzione del problema possa trovarsi in
opposizione coi concetti teologici generalmente ammessi".
70r
Sono fuori di contestazione le buone rette
intenzioni soggettive dell'Autore, il quale è, sacerdote pio e di vita illibata. Come professore di
apologetica, egli deve continuamente occuparsi delle obbiezioni moderne, le quali vengono mosse anche da cattolici
colti ed è mosso
dal desiderio di attirare verso la Chiesa quegli
ambienti colti, che se ne sono allontanati, ristabilendo, come egli si esprime a
pag. 104, la una unione organica fra la d la dottrina cristiana e la
politica, la scienza, lo Stato, la letteratura, l'arte, ecc.
Pur riconoscendo tuttavia
la buona volontà dello scrittore, benemerito anche
per la sua azione nella vita pubblica cattolica, massima
come Segretario generale della Görres-Gesellschaft
[occorre] non si può tuttavia dissimulare che il suo libro
dà luogo a gravi preoccupazioni
critiche.
Egli afferma
nella prefazione che nella sua opera "si tratta soltanto di
un metodo e non di una dottrina. Il metodo non è un giudizio circa determinate
proposizioni, ma unicamente circa determinate proposizioni, ma unicamente uno strumento, per
mezzo del quale si spera di giungere ad una nuova e più profonda conoscenza
> di un oggetto, già conosciuto nel suo complesso.
Il metodo quindi non è vero né falso, ma atto o messo alla
scopo pratico cui è rivolto. Il giudizio intorno a tale attitudine od inettitudine è
sottoposto all'accertamento in accertamento scientifico nella sua applicazione al
tutto o ad un campo particolare. Tale giudizio quindi nel caso attuale non può essere
os dato dal punto di vista del Dogma; il metodo non afferma nulla, non insegna,
ma 70v
piuttosto ammette la dottrina della fede nella sua
ampiezza, ed usando e chi lo usa, può rimanere intieramente sul terreno della
medesima. Esso cerca di mettere in armonia la fede e la scienza. Il punto di vista della
correttezza dogmatica od ecclesiastica non può quindi venire qui in discussione".
Tale
separazione fra il metodo e la dottrina è tuttavia
impossibile nella scienza teologica malgrado le affermazioni
del Rademacher, impossibile in
Teologia, ove, applicando un nuovo metodo, si corre
pericolo di introdurre anche delle degli errori nella sostanza dell'insegnamento.
Perciò la Chiesa ha rivolto sempre la sua attenzione anche al metodo
dell'insegnamento. Il Sillabo di d
del Sommo Pontefice
Pio IX ha riprovato la proposizione 13 che dice: "Methodus
et principia, quibus antiqui Doctores scolastici Theologiam excoluerunt, temporum nostrorum
necessitatibus scientiarumque progressui minime congruunt". E
p
arimenti in numerosi Atti di Sommi Pontifici si trovano
prescrizioni di ordine metodologico tanto per riguardanti le
scienze
teologiche
.
Ed in realtà, malgrado
le sue afferma
zioni, il metodo proposto
dal Rademacher ha portato i suoi effetti anche circa la sostanza della dottrina teologica. Mi limiterò qui ad enu
soltanto ad alcune delle molte osservazioni, cui si presta a
tale riguardo il suo libro.
Innanzi tutto, il concetto della grazia e del soprannaturale, proposto dall'Autore, non
sembra <che> possa accordarsi colla comune sentenza dei Teologi.
Tale sua concezione è espressa in parecchi punti del libro. Ad
73r
esempio, <a> pag. 26-27 <così egli già formula la
"nuova soluzione del problema della sintesi della natura e del soprannaturale",
soluzione, la quale, come egli crede, "tiene conto nel modo più pieno così delle
esigenze della natura e del soprannaturale, come del bisogno di unità": Essa è la
seguente:> "La c<C>reatura per la sua intima natura è
contingente, e quindi per se stessa in ogni momento soggetta all'annientamento. Ora
Iddio, per pura grazia, cedendo all'impulso della propria natura, che è bontà per
essenza, prefigge alla creatura il fine della somiglianza con Dio, le concede la
perpetuità ed accompagna, mediante la sua cooperazione colle forze della natura create,
la evoluzione ascensionale della creazione verso la somiglianza con Dio." Ed a
pag. 60:
71r
Il principio fondamentale, su cui si basa il sistema del
Rademacher, è l'idea della unità (pag. 17 e seg.) o "Monismo cristiano"
(pag. 43). Tale tendenza monistica è innata al nostro intelletto (pag. 22); "il
nostro pensiero è essenzialmente monistico, ossia basato sulla unità" (pag. 20), È quindi sommamente importante di applicarla
alla concezione religiosa
ed è perciò che
l'
nostro intelletto richiede a priori l'unità e la
compatibilità fra la natura e la grazia (ibid.). L'idea della unità deve
essere poi applicata alla religione ed al Cristianesimo nella forma
propria all'età nostra, ossia secondo la
dottrina della evoluzione. "Il bisogno di unità del nostro pensiero allora sarebbe massimamente soddisfatto, se si potrebbe
ammettere che l'Assoluto in unico Atto ha posto il
Relativo, e tutta la creazione ha condensato in unico germe, il quale ora, sempre guidato
dalla cooperazione dell'Assoluto, si evolve spontaneamente, cosicché la materia porta in sé
la tendenza alla vita, la vita la tendenza alla sensibilità, la sensibilità la tendenza al
pensiero, il pensiero la tendenza alla visione intuitiva
" (pag. 25). "L'aborrimento
71v
Da tale principio discende
il concetto della grazia e del soprannaturale proposto dall'Autore e
che trovasi espresso in
parecc
parecchi punti del libro. Ad contra il
Darwinismo ed il
Monismo evolutivo (nota egli pure) è stata la causa per cui i
teologi sono stati anche troppo a lungo avversi
> all'idea della evoluzione e non hanno conosciuto quanto
utile essa possa divenire per la storia della religione e del dogma. Tale paura deve ora cessare. Separandola risolutamente dal Monismo e dal
naturalismo, non solo non vi è nessun pericolo nell'applicazione della idea dell'evoluzione
alla religione ed al dogma, ma anzi vi si ritrova un prezioso principio di indagine."
Da tale principio deriva la "nuova soluzione del problema della sintesi della natura
e del soprannaturale", soluzione, la quale "tiene conto nel modo più pieno così
delle esigenze della natura e del soprannaturale, come del bisogno di unità", e che il
Rademacher a pag. 25
-27 formula nei seguenti termini: "La creatura per la sua intima
natura è contingente, e quindi per sé stessa in ogni momento soggetta all'annientamento. Ora
Iddio per pura grazia, cedendo all'impulso della propria natura, che è bontà
72r
per essenza, prefigge alla creatura il fine della
somiglianza con Dio, le concede la perpetuità ed accompagna, mediante la sua cooperazione
colle forze create, la evoluzione ascensionale della creazione verso la somiglianza con
Dio.
L'ordine della salute è, considerato da parte di Dio, natura – Iddio può operare
soltanto secondo la sua natura –, considerato da parte dell'uomo, grazia – egli non ha per
sé alcun diritto verso Dio". Quindi
In altre
parti
in virtù della grazia la
creatura è conservata nell nell'essere e riceve la immortalità e la somiglianza con Dio.
Il "parallelismo fra la grazia e la natura" è più largamente esposto nella seconda parte
del libro (pag. 53 e seg.), ove troviamo ripetuti i surriferiti concetti. Così a
pag. 60:
Egualmente a pag. 60 l'Autore così si esprime: "Il soprannaturale…
Tale concetto è più ampiamente svolto nella seconda parte
sul "parallelismo della grazia e della natura
" . Così, a pag. 60
si esprime
l'Autore: "Il soprannaturale… 73r
"Il soprannaturale quindi può consistere soltanto nel maggior
possibile avvicinamento del creato, segnatamente dell'uomo, alla divinità stessa, e l'ordine
della grazia nella illimitata potenzialità evolutiva, concessa per libera volontà divina,
della natura, soprattutto dell'uomo, verso la più alta somiglianza con Dio." – Ciò viene
esposto più particolarmente nella pagina 60 e 61
ove la conservazione dell'essere per un
tempo più lungo di quello, che per natura gli compete, è dichiarata un elemento costitutivo
del soprannaturale e della grazia, sicché l'immortalità dell'anima umana apparisce donata
per grazia soprannaturale e quindi come un elemento essenziale del soprannaturale.
Il
[suo] elemento è la
suaccennata suddetta illimitata potenzialità evolutiva verso la somiglianza
con Dio
.
Ciò è affermato
anche a pag. 62: "Il
concetto del soprannaturale ha senso soltanto, se indichi qualche cosa che si
73v
aggiunge alla natura. Un tale donum superadditum può per sé
essere inteso in due modi: cioè o che Iddio, facendo seguire storicamente la elevazione alla
creazione, impartisce in seguito all'uomo già formato od all'umanità già creata un corredo
di doni più alti di quel che abbia avuto l'intenzione di fare od abbia fatto in principio –
nel senso della καινή κτίσις paolina, presa letteralmente –, oppure che insieme alla
creazione gli concede al tempo stesso la perpetuità e la potenza di evolversi
illimitatamente in senso ascensionale verso la somiglianza con Dio, garantendogli la sua
amorosa esistenza per il raggiungimento di tal fine. Questa ultima via sembra,
anche dal punto di vista della idea di Dio, assolutamente la
più probabile."
Sembra
quindi che, secondo il
Rademacher, come non si è stato
storicamente uno status naturae purae, essendo stato il
genere umano fin dalla sua creazione elevato all'ordine soprannaturale, così anche i singoli
individui siano dal principio della loro esistenza elevati allo status gratiae
supernaturalis, e che, come il genere umano non può perdere la sua vocazione
soprannaturale, così in ogni uomo la natura e la grazia siano inseparabili. "Luo
"L'uomo (leggesi a pag. 61) può dirsi un figlio della grazia come un figlio
della natura, secondo che si consideri dal punto di vista della libertà creatrice ovvero
della sua <reale> costituzione; di il che secondo tutto il contesto
sembra <parrebbe> indi
75r
con che in
74r
"Colla vocazione dell'uomo alla somiglianza con Dio
(leggesi a pag. 61) è in principio già posto l'ordine soprannaturale, sebbene il fine non
sia ancora raggiunto… Secondo tal
questo fine è sono
determinatae poi altresì le doti della natura umana. Dio era libero nel fissare
il fine per la creazione dell'uomo, vale a dire nello stabilire la misura della somiglianza
con Dio, che egli avrebbe l'uomo dovrebbe raggiungere nella sua evoluzione
ascensionale verso il Creatore. Una volta però fissato quel fine, Iddio non era più libero
nel nell'impartire alla natura le doti per il raggiungimento del medesimo. Le doti
dell'uomo come essere naturale sono
in ogni caso naturale, per quanto alte
, ossia per quanto capace di somiglianza con Dio possa essa
pensarsi; ma come opera della grazia o della libertà divina è
essa invece in pari grado
anche soprannaturale, perché la libertà divina non è obbligata in nessun
momento a [conservargli] l'esistenza
ed inoltre, una volta questo concesso
può, almeno di potentia absoluta, ad ogni grado
della evoluzione ascensionale troncare il filo, per quanto poco un tale ciò sia da
attendersi potentia ordinata. L'uomo in tal guisa può dirsi egualmente un figlio della
grazia
74v
come un figlio della natura, secondo che si
consideri dal punto di vista della libertà creatrice ovvero della sua reale costituzione";
il che sembra il che val quanto
dire affermare che 75r
in ogni uomo grazia e natura sono
realmente la stessa cosa, distante soltanto ratione; gli i medesimi doni e
forze sono natura, in quanto appartengono all'essenza dell'uomo, quale egli è, e grazia, in
quanto sono dati da Dio.
per pura
liberalità. – In conformità di ciò, il
Rademacher a pag. 76 enuncia la "tesi, che le forze per il soprannaturale sono già
predisposte (angelegt) nella natura stessa ed a pag. 86 definisce la grazia "la
conservazione nell'essere (Fortbestand) elargita per libera bontà, nonché il fine della
più alta somiglianza con Dio e le disposizioni per la
d
medesima,
come nella precedente pag. 85 egli aveva notato che "Iddio ha
posto nella natura i germi evolutivi della somiglianza con Dio".
Il Rademacher, del resto, pone
egli stesso esplicitamente la
propria concezione della grazia e del soprannaturale in opposizione a quella tradizionale
dei teologi. Egli scrive infatti a pag. 62: "Qui è lecito domandarsi: Come si spiega
che gli antichi teologi, una parte dei
quali tutti pure in
parte sogliono
trattare con tanto amore del soprannaturale dal lato così
speculativo come positivo, non abbiano affermato più profondamente questo concetto, fermandosi
nel definirlo a dire che è una elevazione,
proveniente dal di fuori, della natura sopra se stessa?" Ed a pag. 63-64, a
proposito della nota controversia Clemens e Schäzler-Kuhn, l'Autore osserva: "La
questione stessa… era impostata falsa-
75v
mente. La grazia era intesa da ambedue le parti come qualche cosa che dal di sopra e dal
di fuori si aggiunge alla natura dell'uomo, invece di dire che il perfezionamento stesso
della natura si operava solo per mezzo della grazia". Parimenti a pag. 86 di il
concetto tradizionale, criticato dall'Autore, è di nuovo formulato nel senso che la
grazia sia "una realtà, la quale dal di sopra e dal di fuori sopravviene alla
natura".
Secondo il Rademacher, <"il fine ultimo del creato consistente giacente nella
infinità, la somiglianza con Dio," non è "raggiungibile in nessun tempo empirico"
(pag. 64),> lo status gloriae, non è realmente raggiungibile in
nessuno stadio empirico dell'esistenza (pag. 64), ma l'uomo si avvicina alla sua
illimitata evoluzione sempre più a questo <tal> fine. che consiste
nella "In questo senso l'ordine della grazia è un ideale, che <di cui>
l'uomo e l'umanità non possono impossessarsi se non per approssimazione"
<(pag. 62).> Che cosa vuole l'Autore intendere
<dire> con ciò? Che l'uomo sing individuo, anche dopo la morte, anche
dopo la morte, rimane in una continua ed infinita evoluzione ascensionale verso il fine,
che egli non può mai intieramente raggiungere, ovvero è invece od è invece intesa in
tale evoluzione <che> l'umanità nel suo complesso complesso? Alcune
espressioni sembrano si trova in stat tale stato di evoluzione? Alcune espressioni
<(cfr., ad es., pag. 66)> farebbero ritenere che l' lo scrittore
abbia inteso questo secondo senso; ma sebbene sia ma è difficile di comprenderlo
chiaramente.
Nemmeno si trova risolta la questione, se anche gli uomini, che <i
quali> muoiono in peccato grave, abbiano la perpetuità <od
immortalità> e la evoluzione, che sono, come si è veduto, gli elementi
79r
costitutivi della grazia. Se però questa si distingue dalla natura soltanto ratione, la
risposta dovrebbe essere affermativa.
<Dopo di ciò si può fondatamente
dubitare se l'Autore ben si apponga, allorché asserisce che col suo metodo "non solo
nulla si detrae alla dignità della grazia, ma questa anzi ora per la prima volta
apparisce dinanzi a noi in tutta la sua grandezza o sovrem sovraeminente maestà ed
umanità, in quanto che essa non soltanto si rende visibile come attraversante con
singoli acuti raggi le nubi della natura, ma come a guisa di sole nello splendido
meriggio, tutto pervade colla sua luce e col suo calore">
Nel Capitolo "Ordine della grazia e miracoli" (pag. 89-101) facilmente si potrebbe
essere <si è> indotti a credere che il miracolo non abbia più una
vera importanza per la scienza teologica dei nostri tempi; il che per lo meno si presta
a malintesi. Ora invece il <non><si accorda <è
conforme>> co<a>lla dottrina del> Concilio
Vaticano, <il quale> (Sess. III cap. 9) chiama i miracoli
"divinae revelationis signa certissima et omnium intelligentiae accomodata" e al
can. 4 definisce: "Si quis dixerit…miracula certo cognosci nunquam posse nec iis
divinam religionis christianae originem rite probari, a. s." <Nulla poi
osta, secondo l'Autore, a che i miracoli, i quali anche ai nostri tempi si
verificano <compiono> nei Santuari, vengano attribuiti, anziché ad
un intervento della potenza divina nelle forze proprie esse <a>
forze occulte <proprie> dell'anima (pag. 101)>
In tutta <Nel>l'opera del Rademacher si riscontrano inoltre
<non poche> frasi equivoche. Così, per citare qualche esempio, a
pag. 102 si legge: "Quando la grazia aff
76r
La ragione è, secondo l'Autore, perché essi non conoscevano
chiaramente le leggi e l'ordine della natura né l'idea della evoluzione organica. Perciò,
a proposito della nota controversia Clemens e
Schäzler-Kuhn, il Rademacher osserva: "La questione stessa…era impostata falsamente. La
grazia era intesa da ambedue le parti come qualche cosa che dal di sopra e dal di fuori si
aggiunge alla natura dell'uomo, invece di dire che il perfezionamento stesso della natura si
operava solo per mezzo della grazia". E parimenti a pa (pag. 63-64). E
E
parimenti a pag. 86 il concetto tradizionale, criticato
dall'Autore, è di formulato nel senso che la grazia sia "una realtà, la quale dal di
sopra e dal di fuori sopravviene alla natura."
La evoluzione
ascensionale della natura umana
(continua il Rademacher a pag. 66), si compie colle forze
della natura stessa, la quale in tal modo è resa esecutrice delle intenzioni divine. Già la fede nella capacità e
nella voca
zione a tale compito dato da Dio sprigiona le forze, che
conducono all'altezza in alto, come viceversa la credenza nella incorreggibilità
dell'individuo e del genere umano li rende veramente tali,"
76v
Il termine
però
di questa
evoluzione non si può raggiungere in questa vita. "L'ideale
della umanità Invero Il Il fine ultimo del creato giacente nella infinità, la
somiglianza con Dio, non è raggiungibile in nessun tempo empirico" (pag. 64) ed "in
questo senso l'ordine della grazia è un ideale, di cui l'uomo e l'umanità non possono
impossessarsi se non per approssimazione" (pag. 62). Tuttavia anche in questa
vita vi è un progresso della
natura umana verso la sua perfezione, per la quale "l'uomo raggiunge
la sua vera essenza" (pag. 69), sebbene il termine
non si raggiunga che nell'altra vita. "Nelle manifestazioni del tempo empirico la natura e
la grazia come due parallele non si incontrano insieme, perché
la natura non ha ancora svolto
in sé tutte le più alte
quali
doti, ma conduce una
più o meno forte
(secondo la altezza
della vita della grazia)
propria vita. Una volta però che la natura ha raggiunto la più
alta somiglianza con Dio ed ha con ciò pienamente compiuto
la sua propria vera essenza – e ciò può effettuarsi soltanto
nella esistenza superempirica –, allora la natura e la grazia non corrono più come
parallele, ma s'incontrano e coincidono perfettamente. Nello stato di perfezione dell'altra
vita l'uomo consegue la sua destinazione del possesso di Dio mediante la più alta visione ed
amore di Dio, ed al tempo stesso la sua piena umanità natura di uomo, quale sin dal
principio era pensata nella idea del Creatore" . 77r
In base ai suaccennati principi il Rademacher tratta a pag. 81
e seg. delle relazioni fra la stessa e la
rivelazione.– La rivelazione è, secondo
l'Autore, l'atto di Dio, col quale nel tempo (storico) e
gli ha comunicato agli uomini la grazia e la verità. Ciò importa un
dualismo fra la evoluzione storica e la rivelazione e, assoluto sulla "concezione
volgare popolare, derivante dalla incompleta conoscenza delle leggi della natura
e consegnata anche nella Bibbia"; moderato nella teoria concenzcezione
scientifica, la quale, fondata sull'idea della unità, sostiene il principio che "la
rivelazione si compie per mezzo della evoluzione naturale". – Così ad esempio nell'Antico
Testamento
si intenderebbe superficialmente la rivelazione dell'antico
Testamento , se
si credesse "che Iddio abbia dato
al suo popolo eletto particolari notizie
<manifestazioni in qualche modo miracoloso particolari manifestazioni", ma
piuttosto nel senso che "e
gli abbia dato al popolo d'Israele una particolare indole
religiosa, che lo mise in grado di pervenire a più profonde e vere idee circa Iddio ed il
di
e le cose
divine
. "E questa più forte energia religiosa può alla sua volta
aver avuto la sua ragione prossima sulle condizioni esterne della vita (la origine, la
posizione geografica, il clima, la storia, la situazione politica, l'influenza di uomini
eminenti ecc.); in ogni caso 77v
è Iddio in ultima analisi che
ha dato a quel popolo colla sua Provvidenza le condizioni per una più alta evoluzione
religiosa" . Gli organi della rivelazione (agiografi)
non la ricevono immediatamente,<. da Dio,> anche quando sebbene essi,
lo credano massime i Profeti, lo credano e lo affermino, ma esprimono le proprie
esperienze religiose interne; tuttavia essi non avrebbero potuto farlo, se Iddio non ne
avesse dato loro la disposizione e (pag. 83). L'Autore non nega "la possibilità
di una illustrazione immediata di Dio nel senso che si dà comunemente alla parola", e che
importa ma aggiunge che " non può essere presa in
considerazione, senza che sia di fatto provata" di
guisa che non apparisce se praticamente <se, secondo il Rademacher,> una tale
possibilità assoluta si sia, secondo il R mai di fatto verificata.
Poiché poi l'Autore stesso sente
che in tal modo rimane
vulnerato
distrutto, il concetto della rivelazione
strettamente detta,
egli cerca,
si sforza
di sostenere
a pag. 84-85, non sembra
però con
successo,
che anche
di
difendere prevenire
tale a
e respingere tale critica.
Nel Capitolo "Ordine della
grazia e miracoli" si è indotti a
credere che il miracolo non abbia più una vera importanza per la scienza teologica dei tempi
nostri; il che non è conforme alla dottrina del Concilio Vaticano, il quale nella
Sess. III cap. 9 chiama i miracoli "divinae revelationis signa certissima et
omnium intelligentiae accomodata" e al can. 4 definisce: "Si quis
78r
dixerit…miracula certo cognosci numquam posse nec iis
divinam religionis christianae originem probari [sic], a. s.". Invece, secondo il
Rademacher, "l'interesse della Teologia, così
scientifica com
e pratica, e specialmente dell'apologetica, per il miracolo non è
così grande come generalmente si ammette" (pag. 89). "Noi abbiamo acquistato (prosegue
egli a pag. 93) un organo più fino per i valori
spirituali e morali e per i criteri di fede che da essi si deducono, e non abbiamo quindi
più bisogno del miracolo come prova della verità della rivelazione nello stesso grado che i
tempi passati, i quali badavano più al visibile ed al sensibile. Le cose meravigliose, che i
secoli trascorsi raccontano nelle vite dei Santi, noi le releghiamo quasi intieramente a
priori nel campo delle pie finzioni, poiché esse dopo più accurata indagine non
resistono né alla critica storica e filosofica, né
spesso neanche a quella teologica." (pag. 93). Lo stesso vale
per i "miracoli della grazia", i quali da noi, che conosciamo le leggi naturali e
psicologiche, non sono
senz'altro attribuiti
all'azione immediata di Dio, ma piuttosto alle forze stesse dell'anima
(pag. 96). Nulla poi
osta, secondo l'Autore, a che i miracoli, i quali si
compiono ai giorni nostri nei Santuari, vengano attribuiti a forze occulte proprie
dell'anima (pag. 101). 79r
Anche l'ultimo paragrafo "Applicazione dell'idea dell'unità ad alcune questioni
teologiche di confine (theologisc h e Grenzfragen)" in più di
un punto contiene asserzioni incom [risibili] equivoche e
pericolose. Così per esempio, a pag. 132: "L'operazione di Dio nell'anima possiamo
rappresentarcela psicologicamente nel senso che l'anima per natura tende a Dio, sua origine
a suo fine, come spirito verso spirito, e che spetta all'anima di rimuovere gl'impedimenti
ed i vincoli, naturali ed acquisiti per propria colpa, che ritardano questa aspirazione, per
porre in 79v
tal modo essa stessa le condizioni che le
permettano di trovare Iddio e mettersi con lui in contatto vitale, [precisamente] come una molla balza su da sé stessa, non appena l'impedimento
causato da pressione o da peso viene da essa rimosso.
In ogni anima umana, perché è
un<a> essere <creatura> spirituale, un
essere spirituale, esiste una parabola
con Dio e, come gli elementi affini si cercano l'un
l'altro, un impulso verso Dio. Quanto meno questo impulso è ritardato da elementi
impedimenti esterni od interni, tanto maggiore è la forza della ricerca di Dio e tanto più
vigorosa è la libertà morale, ossia l'amore". L'Autore ha preso probabilmente
le sue parole nel senso dell'assioma "Facienti quod in
se est, Deus non denegat gratiam"; ma tuttavia simili espressioni possono pure
intendersi in un senso, che difficilmente si concilierebbe
colla dottrina dogmatica intorno alla necessità della grazia contro il Pelagianismo e
soprattutto il Semipelagianismo. – Equivoco sembra pure il concetto della ispirazione
della Sacra Scrittura esposto nello stesso paragrafo a pag. 130-131: "Non è necessario
di ritenere che gli scrittori ispirati della Bibbia, ai quali dobbiamo le più preziose
notizie intorno all'essenza della religiosità, abbiano coll'ispirazione ricevuto suggestioni divine, ma, essendo essi dotati di
natura
religiosa
ricca
di particolari doti doti ed in parte fortemente intuitive,
come i Profeti, hanno scritto le cognizioni e gli avvenimenti, di cui la loro propria anima
era piena. La 80r
Sacra Scrittura non cessa per ciò
di essere una rivelazione di Dio, perché
essa è venuta in essere per mezzo dello spirito umano, e
quindi in modo naturale, e poiché
ogni grado della rivelazione corrisponde allo stato della
conoscenza religiosa del tempo o dell'eroe religioso, a cui dobbiamo gli scritti medesimi.
Iddio non ha dato dal di fuori i lumi religiosi, ma ha conferito allo spirito umano la forza
di trovarli esso stesso dalle fonti naturali disponibili sotto l'influsso concomitante della
sua grazia".
Parimenti "l'efficacia della preghiera si può
analizzare psicologicamente. Si chiede, per esempio, l' l'allontanamento delle
tentazioni. La fiducia in tale preghiera rinvigorisce realmente l'anima, sprigionando
energie latenti a difesa contro gli stimoli antietici" (pag. 134). "Corrispondentemente
a ciò non deve attendersi neanche dai Sacramenti e dai Sacramentali alcuna
forza magica; essi operano piuttosto in maniera psicologica ed abbisognano e bisogna
che
e bisogna che se ne tragga pedagogicamente profitto,
se debbono condurre
più in alto colui che li riceve"
(pag. 135-136).
Dopo quanto si è osservato
sembra difficile di dividere l'opinione del Rademacher, allorché egli asserisce che
col suo metodo "non solo nulla si detrae alla dignità della
grazia, ma questa anzi ora per la prima volta apparisce dinanzi a noi in tutta la sua
grandezza e sovraeminente maestà e benignità, in quanto che essa
80v
non soltanto si rende visibile come attraversante con
singoli acuti raggi le nubi della natura, ma, a guisa di sole nello splendido meriggio,
tutto inonda colla sua luce e col suo calore" la dottrina teologica tradizionale ha illustrato nel modo più alto i rapporti fra la natura e la grazia, fra l'ordine
naturale e l'ordine soprannaturale, chiaramente
esprimendo le proprietà di ambedue.
Così nel
Concilio Vaticano Sess. III cap. 4:"Hoc quoque perpetuus Ecclesiae Catholicae
consensus tenuit et tenet, duplicem esse ordinem cognitionis non solum principio, sed
obiecto etiam distinctum: principio quidem, quia in altero naturali ratione, in altero fide
divina cognoscimus; obiecto autem, quia praeter ea, ad quae naturalis ratio pertingere
potest, credenda nobis proponuntur mysteria in Deo abscondita, quae nisi revelata divinitas,
innotescere non possunt." Pur distinguendo, poi, il fine naturale ed il fine
soprannaturale dell'uomo, cui la grazia è ordinata, <dal fine
naturale,> i teologi hanno ch chiaramente esposto non esser essi <come
essi non siano fini> disparati, e non differire <come
differiscano> tra di loro <non quasi> come due opposti, ma
soltanto "sicut quod excedit et quod exceditur", in quanto che sul fine soprannaturale è
il eminentemente contenuto tutto il bene del fine naturale.
Molte affermazioni, su cui l'Autore insiste con predilezione, non sono né evidenti per sé
né dimostrate, <provate,> ed eccessivo sembra il valore che egli
attribuisce all'evoluzione ed alla cultura naturale (pag. 101 e
seg.). Nel suo In-81r
vece nell'opera del Rademacher
l'ordine soprannaturale sembra quasi intieramente oscurato, per non dire distrutto; la
rivelazione, la grazia, i sacramenti, la preghiera, l'ispirazione dei Libri santi, i
miracoli, appaiono come ridotti ad esplicazioni di energie naturali e psicologiche; i
criteri interni sono preferiti agli esterni, e si giunge quasi a negare che la salute
dipenda dalla cognizione di fatti storici (pag. 127 nota); del peccato originale,
di Cristo, della
redenzione, della Chiesa, non si fa, si può dire, parola. Tale sistema potrebbe quindi chiamarsi naturalismo psicologico, il cui
principio fondamentale è il monismo religioso. – In tutto il suo scritto, poi,
l'Autore mostra scarsa familiarità cogli antichi Teologi e poca cura delle fonti positive
della rivelazione. Egli conosce la filosofia moderna tedesca e si esprime quasi sempre nel
linguaggio confuso proprio di questa; il che rende molte volte difficile di comprendere
chiaramente (e soprattutto di tradurre esattamente) il vero senso delle sue parole.
Dopo
di ciò, chinato
69r, am linken oberen Seitenrand hds. von unbekannter Hand notiert, vermutlich von
einem Nuntiaturangestellten: "C"; 71r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von
Pacelli: "2"; 72r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli:
"3"; 73r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli:
"4"; 74r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "5";
75r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "6"; 76r, an der
linken oberen Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "7"; 78r, an der linken oberen
Seitenecke hds. notiert von Pacelli: "8"; 79r, an der linken oberen Seitenecke
hds. notiert von Pacelli: "9"; 81r, an der linken oberen Seitenecke hds. notiert
von Pacelli: "10".
Empfohlene Zitierweise
Pacelli, Eugenio an Gasparri, Pietro vom 04. September 1921, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 7799, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/7799. Letzter Zugriff am: 16.05.2024.
Online seit 14.05.2013, letzte Änderung am 29.01.2018.