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[Erzberger, Matthias]: Protestantesimo e cattolicismo nella Germania avvenire. Considerazioni di un Pastore protestante, vor dem 12. Dezember 1917

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Nella rivista "Das neue Deutschland" (La nuova Germania) del novembre 1917, il Pastore protestante, dottor Carlo Aner di Berlino-Charlottenburg, ha pubblicato, sotto il titolo "Protestantesimo e Cattolicismo nella Germania avvenire" un articolo che ci sembra meritevole di essere comunicato in extenso nella sua traduzione letterale. Il dottor Aner confronta i risultati della guerra per il Protestantesimo e per il Cattolicismo in Germania; e giunge alla conclusione "avere il Cattolicismo non solo tratto i maggiori vantaggi della guerra, ma dare questa circostanza, anche per l'avvenire, al Cattolicismo in Germania, una preponderanza notevole sul Protestantesimo". Aner considera questo fatto senz'odio e senza passione; dice che il Protestantesimo può molto imparare dalla Chiesa cattolica, e che l'alto concetto che i Protestanti si sono fatti del Cattolicismo deve avere per conseguenza che a qualsiasi indegna contesa fra le due confessioni e teologie subentri una discussione degna sulle questioni controverse. E questo perché il Cattolicismo ed il Protestantesimo hanno oggi un compito comune: combattere le forze antireligiose dei nuovi tempi.
L'articolo è del seguente tenore:
Protestantesimo e Cattolicismo nella Germania avvenire.
(Del Parroco Carlo Aner, Charlottenburg.)
Profetare è pericoloso. La guerra ci ha mostrato più volte come è facile sbagliarsi nel calcolo. E chi sbaglia raccoglie, oltre alle beffe, il danno che gli vien dalla perdita del credito pubblico. Io, naturalmente, mi
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rallegrerei se i timori che andrò qui appresso esponendo non si concretassero; né, certamente, avrei da vergognarmi per le mie speranze rimaste inadempiute.
Il punto dal quale ci partiamo non e né una speranza né un timore, ma un fatto positivo. Noi constatiamo soltanto che in Germania è l a Chiesa cattolica che ha tratto fin qui dallo, guerra mondiale il più grande e più sicuro guadagno. Lo dico senza l'ombra d'invidia o di malanimo; lo constato solo obiettivamente richiamando l'attenzione su tre cose note a ciascheduno. Prima di tutto la legge sui Gesuiti che veniva interpretata dalla popolazione cattolica come un'ingiustizia, è stata completamente abrogata, e questo nell'interesse dell'unione del popolo; si è poi generalmente di opinione che il Clero militare cattolico possa vantare maggiori successi di quello evangelico. (Non voglio approfondire se questa opinione è giustificata o no; dico soltanto che essa esiste). In terzo luogo tanto il Papa come i Cardinali, grazie ai loro energici sforzi per la pace, si sono acquistati in larghi strati della popolazione una simpatia che si deve mettere in attivo qual fattore del futuro sviluppo di potenza del Cattolicismo.
Che effetto hanno ora questi tre vantaggi della Chiesa cattolica sull'avvenire di quella evangelica? Non si deve misconoscere che i Gesuiti, grazie ad un vagliamento oltremodo accurato degli spiriti ed all'eccellente ammaestramento dei loro singoli membri, prestano e presteranno sempre al Cattolicismo un lavoro di prim'ordine.
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Indubbiamente anche gli Ordini ecclesiastici, liberi di stabilirsi ormai anche in terra germanica, possono sviluppare una ben più intensiva efficacia che non isolati sacerdoti della so cietas Jesu ammessi fin dal 1904. Ciò non ostante, quella parte della popolazione che professa la religione evangelica non ha da temer nulla. Ai nostri tempi sono impensabili le atrocità proprie della persecuzione religiosa, come le videro i secoli XVI e XVII. Noi viviamo in uno Stato moderno, paritativo. Noi altri Protestanti non abbiamo da temere la lotta delle idee; e il foro entro il quale si svolgerà questa lotta è rappresentato da un popolo cosciente, che gode della libertà di stampa e di parola. Eppoi la politica è, oggi, in misura molto più grande, una questione riguardante il popolo intiero che non nei secoli passati, nei quali veniva fatta da pochi individui, specialmente dai prìncipi. I singoli politicanti dei tempi andati erano, naturalmente, esposti molto di più alle arti della diplomazia dei Gesuiti, mentre il carattere pubblico della moderna politica parlamentare significa, senza dubbio, una diminuzione della loro sfera d'influsso. Per queste ragioni non c'è da dare tanta importanza al pericolo dei Gesuiti.
Molto più pericolose ci sembrano le altre due circostanze che danno ai cattolici una prevalenza sulla nostra Chiesa: il dogma pubblico della superiorità del Clero militare cattolico e la propaganda di pace cattolica. La Chiesa evangelica non ha né il potere né l'ufficio di mettersi avanti quale mediatrice di pace. Non ha il potere, imperoc-
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ché essa non è una grandezza unitaria come la Chiesa cattolica-romana, ma si suddivide in molte formazioni singole di Chiese nazionali, le quali, pur concordando nella dottrina e nel culto, se ne stanno esternamente indipendenti l'una accanto all'altra collegate più dall'amicizia che dall'organamento. Non ha l'ufficio; imperocché essa non vuole essere altro che una comunità di fedeli, e rinuncia completamente a qualsiasi azione politica. Tutto ciò è inconfutabile; – soltanto il popolo non vuol riconoscerlo. Il popolo sente istintivamente che fra l'odio dei popoli e la etica cristiana vi è un baratro immane; e questo sentimento è del tutto giustificato. E nemmeno io muovo rimprovero a quelli che, in tempo di pace, si sono sempre curati poco della Chiesa, ma che ora si rivolgono ad essa interrogandola se non può salvarci dalle orribili angustie della guerra. La storia ci deve far comprendere questo: che in una tale spasimosa attesa incoscientemente opera l'educazione ecclesiastica di secoli. Una siffatta speranza nella Chiesa è ereditaria. La Chiesa quale grandezza storica può esserne superba; e la Chiesa attuale potrebbe trarne vantaggi. Naturalmente si inganna il popolo – lo ripeto – quando misconosce i confini della Chiesa protestante e da essa si attende un'azione di pace. Ma anche il riconoscere esattamente questi confini, potrebbe avere un'azione rinforzante sul suo attaccamento alla Chiesa? Si aggiunga a tutto questo che la Chiesa – ciò che secondo il mio modo di sentire le torna completamente ad onore – ha dato all'amor di patria un'espressione eloquente; ha benedetto la guerra di difesa e rinforzato la volontà di perseverare. Non essendo, quindi, rimasta neu-
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trale dinanzi alla guerra, il popolo si attende che non lo sia nemmeno dinanzi alla pace. Molti danni han cagionato alla Chiesa evangelica i deviamenti di molti Pastori aventi mire pangermanistiche; deviamenti segnalati dai giornali nemici della Chiesa, e dati in pasto al pubblico. Comunque, noi ci troviamo dinanzi al fatto che la Chiesa protestante non ha ottenuto alcun aumento di simpatia nelle grandi masse del popolo durante la guerra.
Ora, questa circostanza non va certo direttamente a benefizio della Chiesa cattolica. Gli scontenti non pensano affatto di passare nel campo della Chiesa romana; la quale attenderebbe invano un aumento della cifra dei convertiti. In generale non è assolutamente certo che, dopo la conclusione della pace, abbia ad esser considerevole il numero di quelli che abbandoneranno la loro Chiesa. Più che abbandonandola, la Chiesa, in generale, può essere colpita in modo più sensibile separandola dallo Stato, quando questa separazione, venisse fatta con intendimenti ad essa avversi. La separazione dallo Stato può esser in sé certamente un benessere per la Chiesa; e si sono avuti dei casi in cui questa l'ha desiderata spontaneamente; quando, cioè, uno Stato fa opera di terrorizzamento, o vuole aver che dire nelle questioni interne ecclesiastiche, che non possono trattarsi né in base a paragrafi giuridici, né secondo uno schema amministrativo. Una Chiesa che cerca spontaneamente la separazione ha anche la forza di vivere da sé. Ben diversa è la cosa quando il mal-
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contento del popolo verso la Chiesa, la persuasione della sua indegnità ecc., determinano la separazione. In questo caso la separazione non significa altro che l'abbassamento di una grande organizzazione a misere conventicole. Infatti, colla separazione vengono a mancare le sovvenzioni dello Stato; mentre la nuova libera Chiesa, che non si seppe liberare volontariamente dallo Stato ma fu da questo congedata, non possiede sufficiente animo per tenersi colla propria forza alla necessaria altezza finanziaria. Essa impoverisce. La gioventù di talento evita di servirla. Le facoltà teologiche, le colonne intellettuali della Chiesa, finiscono; e non rimane infine che una miserevole formazione; che un'istituzione di cui ha bisogno la sentimentalità per decorazione nelle feste di famiglia e soprattutto nei trasporti funebri.
Non si farà torto allo scrittore di queste righe, a un servo della Chiesa nazionale prussiana, se confessa di sentirsi preso da brividi davanti a un tal quadro dell'avvenire e se non desidera altro più ardentemente che poter dire di aver veduto troppo nero.
Pur, qualunque sia per essere la sorte delle nostre Chiese evangeliche, è un fatto che esse escono indebolite dalla guerra mondiale e che questo indebolimento altro non significa che un trionfo indiretto della Chiesa cattolica. La quale, non solo si è affermata in mezzo all'incendio mondiale, ma ha conquistato anche preziose posizioni. In un confronto colla Chiesa figlia, essa risulta la più forte. È vero che nel suo stesso interesse si guarderà bene di gloriarsi a voce troppo alta della sua vittoria.
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Il mondo non nutre pensieri eccessivamente benevolenti per quei che han tratto dalla guerra un guadagno. Soprattutto la Chiesa cattolica non eserciterà intolleranza alcuna contro la sua avversaria più debole. La storia ci insegna che le grandi catastrofi come la guerra dei trent'anni hanno avuto nel sentimento popolare una diminuzione dei contrasti confessionali; che la lotta comune e i dolori insieme sopportati, diedero vita ad una magnanimità religiosa che non aveva più intendimento per l'intolleranza caparbia.1 Anche lo spirito di cameratismo nato oggi nelle trincee è un avvenimento di grande importanza, perchè ogni soldato se ne ricorderà per tutta la vita. In virtù di questo sentimento nessun cattolico tedesco consentirebbe che nei giorni susseguenti alla pace uno dei suoi sacerdoti fomentasse l'odio contro i fratelli protestanti. Per il suo stesso bene, dunque, la Chiesa cattolica non potrà mostrarsi intollerante nel futuro. Il popolo tedesco non la comprenderebbe. Ma essa stessa, che ha sempre dato prova nel corso della storia di possedere un finissimo senso pratico e di sapersi adattare sempre alla pubblica opinione, sarà tanto prudente, anche questa volta, da non mettere in giuoco le generali simpatie che gode; tanto prudente da non segare il ramo nel quale essa stessa siede. Ché partiti religiosi in contesa in seno a un popolo che esce da una guerra come l'attuale ed è stanco della lotta, non farebbero altro che esporre la religione stessa all'av-
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versione generale. Il mondo risponderebbe a siffatti partitanti: "La spada riposa, la terra ha pace, e voi altri volete continuare le vostre contese?"
Ma non soltanto in forza di questi calcoli la Chiesa cattolica futura non diverrà aggressiva, sibbene anche per motivi ideali. Troppo forti sono le correnti antireligiose e immorali che hanno allevato la guerra. L'ondata religiosa dei giorni dell'agosto 1914 è passata da un pezzo. I tormenti che si vanno strascinando all'infinito hanno dimostrata vana la preghiera. Le macchine e i metodi della tecnica bellica sono divenuti, oggi, così importanti che tutto ciò che può riguardare lo spirito appare come un lusso di cui si può fare a meno. Un triviale utilitarismo si è impossessato degli animi, ed ha creato un'atmosfera nella quale l'idealità della religione cristiana non può prosperare. Si aggiunga a tutto ciò i pericoli morali della guerra; l'indifferenza etica dei fatalisti: "Forse domani siamo morti, per questo lasciateci vivere oggi"; la tentazione di arricchirsi senza pena in modo disonesto; l'abbandono della gioventù il cui acquisto pecuniario rapido è in continuo aumento non sta in rapporto alcuno col progredire della sua maturità morale; il rigoglioso crescere della disonestà per gli impedimenti attraverso cui procede la giustizia, ecc. ecc. Contro tutte queste forze delle tenebre Cattolicismo e Protestantesimo dovranno procedere uniti. Anche i nostri cattolici lo sentono. La "Germania", per esempio, facendo sue le parole di un gesuita tedesco, ri-
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porta un periodo riprodotto anche nella "Nuova Germania" nel suo primo numero del luglio:
"Nei protestanti animati da spirito cristiano, noi vediamo i nostri fratelli e i nostri compagni d'arme nella grande lotta spirituale contro il movimento anticristiano dei nuovi tempi. Per questo non deve esistere più fra noi né sfiducia né amaro ricordo; alcuni spiriti troppo zelanti e intolleranti, che non mancano mai dalle due parti, non dovranno aver la forza di distruggere questo rapporto di tolleranza cristiana e di mitezza. Soltanto le idee dovranno lottare fra di sé; e noi dovremo assistere soltanto ad una nuova lotta degli spiriti, ad una lotta condotta con armi e con forze esclusivamente intellettuali; imperocché la libera concorrenza è ben lungi dall'esser intolleranza e persecuzione."
Certamente queste sono magnifiche parole, ogni protestante le approverà di cuore. È proprio la lotta delle idee che vogliamo noi. Qualunque sia la sorte della nostra Chiesa, il Protestantesimo non può rovinare dalla sua altezza di grandezza spirituale. L'edificio intellettuale edificato e consolidato nella sua compagine da un Lutero, da un Herder, da un Kant e da uno Schleiermacher, non può essere infranto. Noi ci opporremo sempre contro una religione dell'autorità sacerdotale, del sacramentalismo e della ragione conculcata; perché noi non possiamo vivere altro che nell'atmosfera della libertà di coscienza individuale, della religiosità intellettuale e dell'armonia di tutte le forze dell'anima. Per tutti questi beni noi non
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desideriamo soltanto la tolleranza. Essi ci sono troppo augusti e santi. Noi combattiamo per essi, perché vengano riconosciuti da tutto il mondo; e rigettiamo le opinioni opposte più spinte del Cattolicismo con quella santa intolleranza di San Paolo (Gal. 1,8), che è propria di tutti i veri credenti. La tolleranza nel campo delle idee è possibile solo agli indifferenti e agli slombati, naturalmente la lotta non deve mai scendere dalla sua altezza di diserzione intellettuale alla bassezza di risse partigiane a furia di parole vuote e ad effetto. Essa non dovrà essere mai accompagnata da animosità personale o da svantaggi per i cittadini.
Ma noi possiamo andare anche un passo più avanti. Le buone relazioni fra i due culti come noi le desideriamo al par della "Germania", sono già in marcia. Non solo nei circoli modernisti ci si accorge, riconoscenti, dei doni della scienza protestante. Anche la teologia del Cattolicismo approvata dalla Chiesa trovasi in istretto connesso e ricambio col Protestantesimo. I nostri scienziati si sono porti già da lungo tempo la mano per una nobile gara. Ma hanno fatto anche di più, non per la gloria, ma per la verità: essi hanno posto le loro forze riunite nei problemi storici; per rischiarare, ad esempio, le tenebre che avvolgono l'antichità cristiana. I due gruppi si compendiano e si completano l'un l'altro in modo felicissimo. Se gli scienziati protestanti portano nella gara una più grande disinvoltura dinanzi alla tradizione gli scienziati cattolici vi portano un più fine tatto dovuto alla
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scuola millenaria, senza il quale noi non riusciremmo a comprende i documenti del passato e il carattere della vecchia Chiesa.
Ma noi non abbiano più interessi comuni che scientifici. È a noi comune la radice della religiosità cristiana: il nuovo Testamento. In esso noi protestanti riconosciamo la forza primordiale della nostra religione; non neghiamo però che qui si trovano contemporaneamente gli inizi di quello sviluppo che condusse alla Chiesa cattolica. E nemmeno dimentichiamo che l'eredità della religione del nuovo Testamento ci è stata condotta pel tramite della Chiesa del Medioevo alla quale noi saremo eternamente riconoscenti. Per questo, come una volta sentii dire ad un eminentissimo teologo protestante, noi sentiamo esistere nel più intimo del nostro cuore il rapporto che passa tra figlio e casa paterna da cui la sua coscienza lo trasse lontano, ma alla quale ripensa con amore per tutta la vita.
Già ventisei anni fa Adolfo von Harnack tenne a Berlino una conferenza sul tema: "Quello che noi dobbiamo e quello che noi non dobbiamo imparare dalla Chiesa romana." L'onesto desiderio di imparare dalla Chiesa cattolica non data, dunque, in noi, né da oggi né da ieri. Il ventesimo secolo ci ha fatto intendere sempre più il valore delle forme e dei simboli. Oggi noi non riconosciamo soltanto, – in contrasto dell'idealismo passato che vedeva in ogni uomo una personalità riposta in sé, – la benedizione della comunità e la necessità di una educazione a mezzo
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di forme concrete; ma sentiamo ancora il valore dei simboli del culto di cui hanno assoluto bisogno tutti coloro che non son capaci di pensare in modo astratto, ma che la persona erudita, quando esse forme sono belle e significative, san [sic] pregiare come forme espressive. Né il movimento monistico né la propaganda pangermanista possono far a meno delle forme del culto che essi imitano nei templi e nei riti. Così oggi noi stiamo dinanzi all'uffizio divino cattolico con maggiore intendimento che non i nostri correligionari del secolo XVIII e XIX.
Da parte cattolica, però, non si potrà passare giammai senza rispetto dinanzi ai tesori della nostra poesia e filosofia classiche, ma i suoi frutti cresciuti su terreno protestante si riconosceranno anzi come il miglior nutrimento per la gioventù futura.
Così noi ascendiamo dalla miseria dei tempi attuali fino all'alto monte della promessa; e di lassù volgiamo gli sguardi nella terra promessa dell'avvenire, guardiamo le due confessioni cristiane non unite in un fantasma unitario vuoto di sangue, non divise in risse spregevoli, sibbene intese nobilmente a discutere le questioni controverse, in uno scambio continuo dei loro compiti speciali, ma soprattutto riunite contro le forze empie del tempo che corre.
Popolo tedesco, rallegrati di possederle entrambe!
1Confrontisi il mio libro di recente pubblicazione "Il popolo di Lutero. Una corsa attraverso la storia della sua religiosità." Casa editrice J. C. B. Mohr, Tubinga, 1917.
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], Protestantesimo e cattolicismo nella Germania avvenire. Considerazioni di un Pastore protestante vom vor dem 12. Dezember 1917, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 10000, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/10000. Letzter Zugriff am: 23.04.2024.
Online seit 24.03.2010.