Dokument-Nr. 7098

[Erzberger, Matthias]: Spirito belligero americano veduto attraverso una rivista liberale inglese, 26. Juli 1918

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L'ebdomadario londinese liberale "The Nation" pubblica un articolo intitolato "Appello all'America" che merita di esser preso in considerazione non tanto per lo spirito di conciliazione raro nei fogli inglesi, quanto per l'acuta critica che in esso vien fatta alle condizioni pubbliche negli Stati Uniti. All'ebdomadario inglese era giunta una lettera del professore di storia all'Università di Minnesota, William Sterns Davis, noto anche in America quale scrittore; una lettera con cui l'autore attacca violentemente il liberalismo britannico tacciandolo di stanco a proseguir la guerra e d'infiacchito. Scrive che in America sono tutti dell'opinione di voler condurre la guerra a porto, fino alla completa vittoria sulla Germania; e di non concludere giammai "una pace che sia piena di rimendi [sic]." L'Alsazia-Lorena dovrà esser restituita alla Francia; e in America nessuno è disposto ad affidare la sorte di queste province ad un plebiscito popolare. La resistenza dell'Irlanda contro l'introduzione del servizio militare obbligatorio per tutti ha ucciso in America le passate simpatie per quel paese. Oggi, in molte città americane, gli Irlandesi non riescono a trovar più nemmeno una sala per le loro riunioni – Homerule; e quando riescono a trovarne una non mancano delegati e agenti di P. S. pronti a sorvegliare ed a stenografare le frasi più bollenti. Per un buon
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rapporto fra l'Inghilterra e l'America è necessario che Lloyd George rimanga al timone – continua a dire il professor Davis, non risparmiando il suo scherno a Landsdowne, Henderson o Asquith che chiama disfattisti. In America – dice – non si nutre simpatia alcuna per certi nobili marchesi molto preoccupati e desiderosi di concludere la pace per proteggere i loro beni ereditati; nessuna simpatia per gli eminenti leader del partito operaio che si son lasciati indurre a favorire conferenze internazionali e poi si son rifiutati categoricamente di parteciparvi. In America, inoltre, non si ripone piena fiducia in certi uomini di Stato di grande abilità ed eloquenza, la cui politica nei giorni del loro potere sembrò esser regolata soltanto dal più destro opportunismo e che oggi sono sospettati capaci di negoziare a condizioni che gli Anglo- Sàssoni non potrebbero scrivere con orgoglio nella loro storia.
A queste elucubrazioni del professore americano Davis, il prefato ebdomadario liberale inglese "The Nation" dedica il suo articolo di fondo nel quale si legge fra l'altro:
"Se noi dovessimo credere che le opinioni e i sentimenti espressi nella lettera del professore Davis, e confermateci dalle ultime informazioni dagli Stati orientali americani, rappresentassero davvero la volontà piena e definitiva di tutti i buoni Americani, noi dovremmo dubitare nella causa della civiltà; perché ne risulterebbe che il sacrificio dei
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più nobili e supremi ideali sull'altare del molosso della guerra non conosce né limitazioni né confini.
Il professore Davis traccia un quadro pauroso dello stato attuale degli spiriti in America; e le più sinistre linee di questo quadro ci son sembrati quei passi che tripudiano non solo sulla rinuncia alla libertà ma anche della più elementare tolleranza. Il professore Davis si gloria che in America abbiano messo la mordacchia alla stampa e ai propagandisti sleali. (1)
Egli avrebbe fatto molto bene a portare alcuni notevoli esempi di questa oppressione legale e illegale della libertà di coscienza e di parola. Basta citare il commento della "New Republic" americana alla condanna a dieci anni di prigione pronunciata conto Mrs. Stockes per avere, in una sua lettera, messo la guerra in rapporto ai vantaggi pecuniari: "Massimiliano Harden (2) non lascia passar settimana senza attaccar la politica del suo Governo. Dinanzi ai suoi attacchi la lettera di Mrs. Stockes non costitutiva che una innocentissima osservazione.
Il modo singolare di interpretare la legge sulle Poste e sullo spionaggio ha dato vita ad una censura che in America ha letteralmente soffocato qualsiasi voce
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di critica contro il Governo, qualsiasi critica dei fini, metodi e obbiettivi della politica di guerra. E questo non è tutto. Non solo la legge, ma anche l'opinione pubblica è stata organizzata per esercitare una pressione su tutti coloro che son sospettati di esser proclivi alla pace, o su persone che non hanno sottoscritto oblazioni per la Croce Rossa o al prestito nella misura fissata dai vicini di casa. In alcune località americani-tedeschi sono stati linciati in modo orribile dalla canaglia "leale", e questo senza che si potesse provare contro le povere vittime la benché minima espressione o attitudine di simpatia verso i Tedeschi. La stampa si è resa quasi sempre complice degli assassini plaudendo agli eccessi o, per lo meno, trovando scuse per essi. La libertà di parola, di stampa e di riunione è stata bandita dall'America in modo ben più rigoroso che non in Inghilterra o in Germania. Tanto là come da noi la causa della reazione attinge nuovo coraggio. Al movimento operaio sono state legate le mani in America più che altrove. La Suprema Corte ha confermato ultimamente la sentenza di un Tribunale della Virginia occidentale il quale vietava ai minatori e ai lavoratori del vetro di costituirsi in corpo di mestieranti; deportazioni illegali ed altri metodi di oppressione sono all'ordine del giorno. La corsa ai profitti disonesti di cui ebbe il coraggio di parlare Mrs. Stockes, fiorisce indisturbata e interpreta le leggi sui sopraprofitti con una disinvoltura veramente straordinaria.
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Eppure tutti questi colpi portati dalla guerra alla libertà non sono tanto pericolosi come la brutalità del Vangelo "Niente fine della guerra senza…" colla quale l'America, stando alla descrizione del prof. Davis, alimenta il suo idealismo. Il prof. Davis non biasima i popoli europei dell'Intesa per la loro stanchezza dopo essersi battuti per ben quattro anni, mentre i suoi compatriotti se ne vengono dal mare freschi e raggianti; ma insiste che noi continuiamo a soffrire finché l'America non sarà giunta al punto da poter vibrare il colpo di grazia. Egli non nutre dubbio alcuno sull'"unica via degna di terminare la guerra", anche se questa via dovesse costare la vita di altri milioni di Francesi, di Belgi, e di Inglesi. Vadano pure in rovina intiere province dell'Europa, infuri la pèste e la fame in mezzo d'intiere popolazioni, prosegua l'atroce e cruenta lotta per altri due o tre anni: "noi siamo decisi a calcare l'interminabile via! " Così il prof. Davis; e noi non solo dovremo continuare a combattere, finché egli ed i suoi partigiani saranno giunti a questo punto di cose; no; egli è anche certissimo, se noi lo intendiamo bene, che in questo caso l'America imporrebbe al nemico le sue condizioni di pace."
Proseguendo nel suo commento la "Nation" dice che l'America non si fa una giusta idea dei bisogni, dei sentimenti e delle aspirazioni dei suoi alleati europei.
"E come potrebbero comprendere queste cose gli Americani? Gli uomini e le donne che potrebbero spiegare come realmente stanno le cose non vengono fatti passare; ogni parola stampata che li potesse illuminare viene severa-
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mente esclusa. Dalla lettera del prof. Davis, ispirato apparentemente da un forte entusiasmo per l'umanità (!) noi comprendiamo che questo signore non ha intendimento alcuno per la terribile situazione di quel paese al quale gli Americani tributano la loro più profonda simpatia. Nessun intendimento, che l'illimitata prosecuzione della guerra equivale alla sentenza di morte di una nazione. Se quella pura politica di guerra significa ciò per la Francia, essa significa ancora per ogni altro paese belligerante d'Europa una triste esistenza per molte generazioni, una vita di impoverimento fisico, di indebolimento economico e di decadenza intellettuale; lo sconfinamento dei danni morali oltre i limiti della umana pazienza. E a qual intento? Perché nel 1920 (o non potrebbe essere nel 1921) milioni di Americani sfondino le esauste linee di difesa della Germania e impongano agli svenati popoli d'Europa una pace americana, la quale metta il commercio mondiale nel loro assoluto e incontestato possesso; una pace che conduca gli Americani al trionfo; che li induca a dividersi, di poi, la signoria mondiale col Giappone; coll'unico membro dell'Intesa i cui mezzi non sono diminuiti colla sua partecipazione alla guerra, ma straordinariamente aumentati? "
Il foglio inglese conclude collo scongiurare l'alleata d'oltre oceano di studiare anzitutto il vero stato di cose dell'Europa prima di irretirsi in una siffatta politica di guerra.
Da parte tedesca non è necessario aggiungere motto a questo duello anglo-americano. Così stanno le cose nella
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terra di Wilson, nel "paese della Libertà, della più grande democrazia e della umanità disinteressata"; tale il giro dei pensieri in un gran numero di teste americane. È certo che persino questi entusiasmi bellici riceveranno, col proseguir della guerra, le loro lezioni e le loro docce fredde, come è avvenuto alle truppe americane al fronte occidentale le quali hanno dovuto fare, nei duri combattimenti di questi giorni, la dolorosa esperienza che la guerra non è, purtroppo, uno sport.
(1)Il concetto "sleale" è divenuto in America un terminus technicus per caratterizzare tutto ciò che non va d'accordo colla propaganda belligera ufficiale del signor Wilson.
(2)(2) Il noto pubblicista tedesco, editore del periodico "Die Zukunft" (L'avvenire) a Berlino.
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], Spirito belligero americano veduto attraverso una rivista liberale inglese vom 26. Juli 1918, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 7098, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/7098. Letzter Zugriff am: 17.04.2024.
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