Dokument-Nr. 8018

[Erzberger, Matthias]: Il discorso tenuto al Reichstag germanico dall'onorevole Erzberger, nella seduta del 27 febbraio 1918, vor dem 12. März 1918

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Erzberger, deputato al Reichstag: Signori deputati! L'oratore che mi ha immediatamente preceduto su questa tribuna, come pure l'on. von Heydebrand, ieri, han posto a base del loro dibattito il blocco della maggioranza e l'inizio di questo blocco: la "risoluzione" del luglio e i fini di guerra. Entrambi gli oratori hanno trovato che ridire su di essi, come anche nel luglio dell'anno scorso si accordarono nel rigettare la "risoluzione" di pace. Ciò nonostante io non voglio trattenermi dal dire apertamente che quella risoluzione corrispondeva a tutta la nostra situazione interna ed esterna e costituisce ancor oggi un grandissimo merito del Reichstag germanico. (Giustissimo! al Centro e a sinistra). La risoluzione deve, però, essere accettata nella sua totalità; non deve uno togliere un periodo e un secondo un altro periodo dall'intiero contesto, e poi polemizzare su frasi staccate, senza considerare che si tratta di un tutto complessivo e logico il quale ha trovato la sua espressione nella risoluzione stessa; senza considerare che anche i partiti approvanti la risoluzione, pongono un valore tutto decisivo sul fatto che essa venga considerata nei trattati di pace in tutto il suo complesso. Se la situazione politica o le circostanze militari dovessero condurre a che parti essenziali della risoluzione non dovessero trovar la loro espressione nel trattato di pace, è allora troppo naturale che tutti quelli che han votato per essa
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vengano a riacquistare piena libertà anche riguardo agli altri periodi. Se Lor signori giudicheranno questa risoluzione in tutto il suo complesso, la pregeranno ben altrimenti che coll'espressione inqualificabile di "vile risoluzione del Reichstag"; la pregeranno con parole ben diverse da quelle coniate dall'oratore della frazione conservatrice, allorché nella Dieta prussiana parlò di "infausta risoluzione del Reichstag". (E rivolgendosi all'on von Heydebrand:) Signor von Heydebrand, a Lei sta molto a cuore che noi nel Reichstag non ci immischiamo in questioni prussiane. Ebbene Lei si curi che nella sua frazione alla Dieta prussiana non si parli in tal modo delle deliberazioni del Reichstag. Sappia che se da quelle trincee si fa fuoco su di noi, anche noi risponderemo collo stesso fuoco.
Tre Cancellieri, uno dopo l'altro, hanno accettato la nostra risoluzione, e tutti l'hanno qualificata degna di formar la base della loro politica estera. La pace avviata in Oriente è stata costruita sulla base della risoluzione di pace. In questo io m'allontano alquanto dal modo di opinare dell'oratore che mi ha immediatamente preceduto, come spiegherò fra poco. In virtù della nostra "risoluzione" nei paesi avversari cresce sempre più, di giorno in giorno e di settimana in settimana, il desiderio di pace. Se ampi strati del popolo germanico non ne vengono a conoscenza, ciò è oltremodo deplorevole. Se i popoli potessero parlarsi l'un l'altro apertamente e liberamente, privi da qualsiasi ostacolo e sciolti da ogni censura, la furia della guerra avrebbe cessato ormai da lungo tempo di porre a soqquadro l'Europa. Questa risoluzione sui fini di guerra non tro-
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vasi in contrasto alcuno col modo di vedere passato dei miei amici politici e mio; questa risoluzione sui fini di guerra è l'unica via da seguirsi di fronte ai rapporti delle forze, per ritornare in possesso delle nostre colonie a noi assolutamente necessarie.
Ma io voglio toccare brevemente ancora un altro pensiero al quale, sin qui, è stata prestata troppo poca attenzione. Qualunque sia la pace conclusa, tutti saranno unanimi su questo: che tutte le speranze riposte nel risultato della guerra da ampi circoli al principio della medesima ed anche molto tempo dopo, non possono ormai concretarsi tutte, senz'altro. (È vero! al Centro e a sinistra). Su chi sarebbe ricaduta allora l'indignazione; su chi il forte risentimento che oggi deve sopportare la maggioranza del Reichstag? Io credo che specialmente dal punto di vista monarchico si debba salutare che il Reichstag si sia assunta, fin dal principio, la responsabilità per una pace che, secondo la mia persuasione, più favorevole non sia possibile concluderla. La responsabilità avrebbe gravato la Corona. Bacilli rivoluzionari non sono soltanto nell'Oriente dell'Europa – un uomo esperiente come è il signor von Heydebrand, lo sa bene come me –; ma anche in altri paesi. Questo movimento avrebbe investito i rappresentanti della Corona in modo che, forse, appunto quelle idee delle quali il signor von Heydebrand si atteggia a speciale paladino avrebbero potuto grandemente soffrirne. Così, invece, è la grande maggioranza del Reichstag che propugna la pace dell'accomodamento e della durevole riconciliazione dei popoli. E se ne addossa anche la respon-
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sabilità.
Ed eccomi a parlare della pace in Oriente. La pace avviata colla Russia, e forse in questo momento già sottoscritta, noi possiamo salutarla con lieto animo, perché completamente nell'ambito della nostra risoluzione. (Giustissimo! al Centro e a sinistra. I socialisti indipendenti ridono). Sì, completamente nell'àmbito delle nostre deliberazioni. Aspettino, aspettino un poco; signori. È troppo semplice rispondere col riso. (Grida e interruzioni da varie parti dell'aula). Noi salutiamo questa pace. Essa non si discosta molto da quello che fu stabilito a Brest-Litowsk. I punti dai quali si discosta costituiscono pure e semplici misure di polizia. (Verissimo! al Centro e a sinistra. – Ritorsioni).
L'on. Haase non è di questo parere. Certo noi non siamo responsabili per la forma dell'ultimatum – non siamo stati noi a scriverlo – ma noi possiamo rimaner garantiti del contenuto. È falso, come ha detto l'on. Haase, che il blocco di mezzo sia – per ripetere le sue parole – impotente, o abbia compiuto una conversione. Ciò non corrisponde assolutamente ai fatti. In quanto al passo che riguarda l'Estonia e la Livonia, credo di poter dire che la grande maggioranza del popolo tedesco sarà lieta se potrà ritirare quanto prima i suoi gendarmi da questi paesi, (Giustissimo! al Centro e a sinistra) e che lo farà e lo esigerà non appena la vita, la libertà e la proprietà degli abitanti di questi paesi saranno assicurate. I nostri soldati non hanno marciato contro un "popolo inerme", come si è compiaciuto di dire il deputato Haase. Grida imploranti soccorso ci era-
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no venute da quei paesi. (Interruzioni e grida dei socialisti indipendenti) – In che misura, non possiamo dirlo. (Nuove interruzioni e grida dei socialisti indipendenti.)
L'on. Erzberger (rispondendo ad una interruzione): Soltanto Lei può affermare che siano state create a Berlino [sic]. È molto difficile, invero, giudicare in tempo di guerra in che misura ci siano giunte le invocazioni per un aiuto. Contesto però anche la giustezza dell'affermazione dell'on. Haase, che noi ci mischieremo nei rapporti interni della Russia. No; noi abbiamo dato la più convincente prova contraria mostrando grandissima pazienza e dichiarandoci disposti a trattare ancora coi Bolscevichi, pur dopo il fallimento dei negoziati a Brest-Litowsk. Se la Germania avesse posto questa condizione; "noi non concluderemo colla Russia pace alcuna finché il Governo dei Bolscevichi sarà ancora al timone" allora, sì, che ci saremmo immischiati nelle questioni interne della Russia. Ma noi, nonostante le dure prove di pazienza a cui il Governo russo sottopose i nostri delegati a Brest-Litowsk, abbiamo ancora trattato con lui. O che forse l'on. Haase approva che al Ministro degli Esteri austriaco si opponga l'austriaco refrattario e disertore Radek? Crede Ella che ciò abbia contribuito a promuovere la pace fra la Russia e le Potenze centrali? (Benissimo! Al Centro e a sinistra). Un uomo che Lor signori non sopporterebbero nemmeno nel proprio partito? Eppure i rappresentanti del Governo bolscevico hanno scelto precisamente questo individuo per opporlo al Ministro degli Esteri austriaco. I delegati tedeschi
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ed austriaci dovettero ascoltare dalle labbra di questo signore un discorso di un'ora intera, per venir ad apprendere, poi, alla fine del medesimo, che tutto quello che Radek aveva detto, non aveva significato alcuno per i negoziati. È forse questa la seria volontà di pace di Trotzki? (Benissimo! A sinistra.)
Collega Haase! Lei è stato molto ricco e molto particolareggiato nella critica; ma ha dimenticato poi di fare una proposta positiva di come, dopo il fallimento dei negoziati di Brest-Litowsk, si potrebbe addivenire alla pace. (Interruzioni dei socialisti indipendenti)
On. Erzberger (raccogliendo un'interruzione): Verremo anche a questo. Una cosa alla volta! Proposte, dunque, non ne hanno fatte. Hanno detto soltanto che avremmo dovuto metterci dal punto di vista austriaco e dire che la pace è stata raggiunta de facto . Senonché, se ci si fosse dato in braccio alla comoda attesa, la pace coll'Ucraina se ne sarebbe andata in fumo. Crede lei che se il resto della Russia e il signor Trotzki fossero riusciti a rinforzare e ad armare la Guardia rossa, sarebbero stati tanto gentili di mantenere la pace colla Germania e coll'Ucraina? Per assicurare la pace coll'Ucraina, dovevano esser decise quelle misure che sono state prese. Se siamo arrivati a questo punto che logicamente doveva venire, non è colpa della Germania ma tutta della Russia. La pace russa, non la conclusione della pace come tale, non è opera di questi ultimi giorni. Chi così opinasse, giudicherebbe falsissimamente gli avvenimenti politici mondiali. Che questi avvenimenti, i quali han preceduto la conclusione della pace, possono essere
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salutati con grande gioia dal punto di vista tedesco, nemmeno lo stesso deputato Haase potrà negarlo. Mentre egli parlava, mi venne in mente una frase di Bebel, suo defunto capo-partito, il quale disse una volta in quest'aula che la Germania strisciava sul ventre dinanzi al Governo dello Zar. Orbene, io non voglio andar a cercare fino a che punto il signor collega Haase faccia simili esercizi addominali dinanzi al Governo bolscevico. (Grande ilarità! – Grida dei socialisti indipendenti.) Non colla conclusione della pace è stata sigillata la tragedia della Russia, sibbene grazie a quello che prima della guerra e durante la guerra è avvenuto colà, in parte a causa della rivoluzione ma principalmente per i successi delle armi germaniche. Relativamente agli apprezzamenti che di questa pace si possono fare, Le consiglio di leggere un giornale che, certamente non deve corrispondere troppo al suo modo di sentire, ma che, tuttavia, nei tempi passati difese non poche delle sue opinioni. Voglio dire il "Socialdemokraten" di Copenhagen, il quale rileva in modo chiaro e netto che lo sfacelo dell'Impero russo, una volta così potente, ampio di 22 milioni e mezzo di chilometri quadrati e abitato da 170 milioni di abitanti, è stato operato dalla Germania; da un paese, cioè, che conta soltanto mezzo milione di chilometri quadri e 70 milioni di abitanti, e che trovasi in lotta con tutto il mondo. Il suddetto giornale rileva inoltre che il paese industriale tedesco, denso di popolazione, ha abbattuto il colosso moscovita, e che, – come ben dice – con un tale avvenimento è venuta a crearsi una situazione nuovissima anche
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per la Germania nella sua politica mondiale. È vero, altresì, che lo sfacelo dell'Impero mondiale russo costituisce un grandissimo sgravio anche per l'Inghilterra nell'Asia centrale e nelle Indie. L'on. Haase ci mette dinanzi ad un tal bivio. Dice che la pace colla Russia avrà il seguente ulteriore sviluppo: o vincerà colà il socialismo che rimedierà al malfatto – se non ho mal inteso le sue parole – o prenderà il sopravvento la borghesia – il signor Haase deve ammettere con me che i giorni dei Bolsceviki sono contati – e la idea di rivincita allora afferrerà tutto il popolo russo. L'on. Haase disse ancora che una terza via d'uscita non c'è.
Non sono del suo parere. Credo invece che una terza via ci sia, e che sia compito della nostra politica di prendere appunto questa terza strada. La stampa straniera – intendo dire la stampa neutrale e non quell'avversaria, – ha già detto che alla conclusione della pace generale anche quella in Oriente sarebbe sottoposta ad una revisione da parte di tutto il mondo. Se questo avverrà o no, io non posso saperlo. Nella politica bisogna esser preparati sempre al peggio e da questo assioma deriva, naturalmente, il nostro dovere che è questo: noi dobbiamo essere sempre armati perché, qualunque sia la fine della guerra mondiale, tutti quegli interessi tedeschi che hanno trovato posto in questo trattato di pace, rimangan fermi davanti al cosiddetto "Tribunale del mondo". Ecco la terza via che la Germania deve seguire. La Germania può rendere la pace conclusa in Oriente tanto stabile da dirsi intangibile da qualsiasi instanza di revisione; ma ad un patto: che il programma
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della maggioranza del luglio sia effettuato completamente dinanzi ai popoli orientali. (Bene! a sinistra e al Centro). Solo in quanto ciò avverrà, la pace d'Oriente rientrerà nell'àmbito della nostra risoluzione. La Germania può farne una pace duratura, e lo farà se approfitterà del tempo attuale fino alla conclusione di quella generale, per accontentare i popoli di confine della Russia; se lavorerà in modo che alla fine della guerra mondiale non si avranno proteste dei Polacchi, dei Lituani, dei Curlandesi, degli Estoni e dei Livoni, i quali ultimi ci riguardano poco, per ora. Se alla conclusione della pace generale non vi saranno più querelanti, non vi sarà nemmeno un'instanza che la vorrà fare da giudice. E questo il nostro grande compito che noi dobbiamo assolvere ora in Oriente, e che può esser assolto solo nel terreno del diritto dei popoli di disporre di sé. Qualsiasi altro principio – è questa la mia incrollabile persuasione – sia annessionistico, sia che si debba agire colla violenza – ci porterà in Oriente al naufragio, e quello che abbiamo ottenuto sin qui non potrà rimanere durevolmente nelle nostre mani. (Giustissimo! al Centro e a sinistra.)
Questo principio – così rispondo io al signor deputato Haase – dovrà essere saldamente osservato. Il signor Cancelliere l'accettò senza osservazioni il 29 novembre. Nella prima formulazione del trattato di pace non è stato espresso abbastanza chiaramente – lo ammetto –; ma nei negoziati di Brest-Litowsk il Governo tedesco fece ai delegati russi molte concessioni sul modo di come ulteriormente dovrà essere sviluppato il
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principio del diritto dei popoli di disporre di sé. Le concessioni del Governo – di questo sono fermamente persuaso – non potranno essere ritirate. Oltre a ciò nel trattato di pace russo è detto espressamente che la regolazione statale dei territori separati dovrà esser fatta "d'accordo colla popolazione". Si è potuto, dunque, mantenere questo principio che si ripete in tutti i punti principali dei negoziati: "Niente politica di violenza dei popoli di confine della Russia, ma diritto dei popoli stessi di disporre di sé". Dal modo con cui noi procederemo rapidamente a mettere in pratica questo pensiero fondamentale, dipenderà la durevolezza che per noi avrà la pace in Oriente. (Giustissimo! al Centro e a sinistra.)
Non ci si inganni, in Germania! Nelle popolazione degli stati di confine, Lituania, Curlandia, Estonia, Livonia, Ingria e, in certo qual modo, anche in Finlandia, si notano già sintomi che mirano alla formazione di una Repubblica federativa fra di sé; queste popolazioni si riservano di ritornare o no, in un'epoca più o meno futura, alla Russia. Il signor von Heydebrand ha citato il principe Bismarck. Io gli raccomando di leggere le lettere che il principe Bismarck scrisse a sua moglie – forse gli saranno note – dove si legge esistere nella Russia un immenso rapporto interno fra civiltà e religione. Ora si tratta di sapere – nessuno potendo leggere nel futuro – se, compiuta la separazione dalla Russia dei popoli di confine di origine diversa, non cresca ancor più che ai tempi di Bismarck la forza interna d'attrazione della Russia. La conseguenza che per la Germania ne deriva è
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che siano messi in pratica al più presto possibile i trattati stretti colle corporazioni rappresentative della Lituania e della Curlandia – per tacere della Polonia che trovasi in ben altri rapporti. Debbo dire apertamente di non comprendere perché la Germania non abbia approvato subito la deliberazione del Consiglio lituano; di quel Consiglio che è stato riconosciuto da tutto il Reichstag, da tutti i partiti qual rappresentante del popolo lituano e che gli stessi socialisti hanno riconosciuto come tale; deliberazione che chiede l'indipendenza e l'autonomia della Lituania. Non riesco a comprendere qual sia l'infelice mano che si oppone a che la proposta del Consiglio lituano sia soddisfatta. Ed è tanto più incomprensibile se si considera che il medesimo Consiglio prese deliberazioni inneggianti ad un'eterna buona relazione colla Germania; deliberazioni che danno forma concreta alle relazioni fra i due paesi, proponendo convenzioni di vario genere di carattere militare, commerciale, politico e persino sul campo dei traffici e del sistema monetario.
Perché si indugia? Potevo comprendere le esitazioni nello scorso decembre quando i negoziati colla Russia sembravano correre diritti verso la mèta. Allora non si voleva intralciare la via della pace. Ma non ho compreso perché, subito dopo la rottura dei negoziati colla Russia a Brest-Litowsk, non si sia corrisposto subito ai desideri di questo paese col riconoscerne l'indipendenza. La "Deutsche Tageszeitung", che anche oggi torna a divulgare – per esprimermi blandamente – una filza di inesattezze sul conto mio, osa affermare che l'ultima
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dichiarazione sull'indipendenza venutaci dal Consiglio lituano è stata fabbricata a Berlino. Non è questa una insinuazione inaudita? Io non comprendo – ripeto – perché non si tenga conto immediato della deliberazione del Consiglio lituano. So con tutta certezza non esistere ormai ostacolo alcuno né presso l'autorità politica di Berlino né presso il Comando militare. Non può essere che un qualche piccolo maggiore di Wilna torni a ripetere l'espressione riferitaci da una Deputazione di ritorno a Berlino: "Quello che il signor Cancelliere ha detto loro, non ha valore per noi a Wilna." (Vivaci esclamazioni al Centro e a sinistra: Udite, udite!) Questo avvenne nel decembre del 1917. Credo che il signor Cancelliere e il generale Ludendorff posseggano di autorità bastante per richiamare all'ordine un maggiore. (Ilarità!) Quale ostacolo si oppone all'adempimento della promessa del Cancelliere e del Supremo Comando, per esempio riguardo al vescovo di Kowno? Che cosa si aspetta? Si crede che l'attesa faccia crescere in questi paesi la simpatia per la Germania? Quelle popolazioni ripongono fiducia in noi e vogliono venir con noi. Noi non dobbiamo respingerle. (Approvazioni vivissime al Centro e a sinistra.) Non si deve inciampare su piccolezze burocratiche. (Rinnovate approvazioni al Centro.) Impariamo dai nemici! Che cosa ha fatto l'Inghilterra coi Boeri? Terminata la guerra con essi, gli Inglesi diedero loro quasi subito la più perfetta autonomia; ed oggi siamo noi a dover combattere con i Boeri che ci hanno preso la nostra colonia africana. Per toglierci le nostre colonie, l'Inghilterra ha effettuato dinanzi alla Repubbli-
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ca boera il principio dei popoli di disporre di sé. Io vorrei che si imparasse dai nemici e che una buona volta si tenesse conto dei desideri delle popolazioni rivoltesi a noi. Nella Curlandia lo stato di cose non è molto diverso. Noi dobbiamo dar a queste popolazioni quanto prima un'amministrazione propria e non insistere che l'amministrazione militare rimanga ancora a lungo nel paese, per il quale convien creare subito Governo e Amministrazione propri. I popoli invocano l'aiuto per poter riedificare poi, al più presto possibile, i loro paesi. Quando noi ci saremo acquistate le simpatie di quel popolo, nessuna Potenza del mondo potrà abbattere quello che, da oggi alla conclusione di pace generale, avremo edificato sulla base del diritto dei popoli di disporre di sé. (Vive approvazioni a sinistra e al Centro.)
In quanto alla pace colla Rumenia io non voglio seguire, ora, l'amichevole invito del signor Stresemann che, con mio dolore, non vedo al suo posto. Io mi congratulo con lui e gli auguro che alla fine della guerra mondiale e alla firma della pace generale egli possa collo stesso entusiasmo tenere un discorso su quello che vuol imporre alla Rumenia, come ci ha detto oggi. (Approvazioni al Centro.) Allora sarò contento.
Signori deputati! La Rumenia ha agito male. Chi lo negherebbe? Il suo Governo è stato un Governo infedele e traditore. Noi tutti siamo d'accordo che i torti commessi debbano essere espiati. Ma è ben lungi da me il desiderio di volere imporre prescrizioni ai nostri Delegati, perché il trattato di pace porti con sé un numero
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più o meno grande di milioni. Dopo gli avvenimenti in Brest-Litowsk e il contegno tenuto dal nostro Governo ho tutta la fiducia che i nostri Delegati avranno sufficientemente in mira, e senz'altro, gli interessi tedeschi. (Bene! A sinistra.)
A questo debbo, però, aggiungere una seconda osservazione. I vantaggi momentanei non debbono prendere il sopravvento sui vantaggi politici duraturi. (Approvazioni a sinistra e al Centro.) Sarebbe completamente falso lasciarsi trasportare durante la conclusione d'una pace da correnti sentimentali momentanee; molto più non sapendo se questa pace avrà la sanzione di tutto il mondo; e mettere, così, in pericolo ciò che si può ottenere dall'altra parte. Che noi, concludendo la pace colla Rumenia, osserviamo scrupolosamente gli impegni assunti verso la Bulgaria, è troppo naturale. La Bulgaria ha posto tutta la sua esistenza sulla fedeltà della Germania; e la Bulgaria deve sapere che le sue giustificate aspirazioni nazionali saranno da noi adempiute, essendo noi al caso di poterlo fare. (Bravo! Bene!) Così vogliamo sperare che ci riesca non di concludere una pace che trovi la firma degli statisti, ma una pace che abbia forza vitale, che resista ai tempi e tenga conto della durevole conciliazione dei popoli. Noi vogliamo sperare che una siffatta pace sia avviata in Oriente. Quello che il popolo ritiene per sé giusto e ragionevole, non si deve negare agli altri popoli i quali, in questo mondo, hanno il medesimo diritto d'esistenza. Io non conosco altra giustificazione migliore degli incontestabili diritti del popolo nostro in tutto il mondo che ricono-
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scendo a tutti gli altri popoli il medesimo diritto che io pretendo per il popolo tedesco. (Benissimo! al Centro e a sinistra.) La messa in pratica di un tale principio può soltanto preservarci dal ritorno della grande sciagura che ha visitato l'Europa.
II signor Cancelliere ha rilasciato al Presidente Wilson una dichiarazione affermativa senza riserve. L'unica riserva che egli fatto [sic] è stata logicamente quella che tutti i popoli si pongano sul medesimo terreno, altrimenti la pace non sarà possibile. Ma l'approvazione è stata fatta senza restrizione alcuna e, grazie a Dio, senza l'infelice aggiunta: "Wie ich es auffasse!" ("Come io la concepisco!") (L'on. Erzberger si riferisce alla famosa disgraziata frase dell'ex-Cancelliere Michaelis, fonte di tante controversie nei mesi passati.) Se l'on. von Heydebrand fosse il capo del popolo tedesco, egli, colla sua restrizione di ieri riferito al discorso del Cancelliere non avrebbe giovato né agli interessi tedeschi né alla pace; perché questa famigerata frase "Wie ich es auffasse" non prenderà certo un posto eminente nella storia della guerra mondiale. (Verissimo! al Centro e a sinistra.) Più tardi si vedrà a luce meridiana che con certe restrizioni non sì è giovato alla grande opera di pace, anche laddove si aveva l'interesse di giovarle. E siccome ieri il signore von Heydebrand disse da se stesso esser egli capo di una minoranza, desidero che appunto questa sua confessione corrispondente al vero, sia ben nota all'estero dove l'autorità dell'on. von Heydebrand viene soprappregiata in modo esagerato. All'estero dicono sempre: "Chi è che governa in Germania?
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È un re di Prussia non incoronato." (Interruzioni, grida a destra. – Grandissima ilarità. Una voce: È Lei il re non coronato!)
Erzberger: No; purtroppo no; signor von Heydebrand! (Rinnovata ilarità.) Se io avessi in Germania la potenza che l'estero ascrive a Lei, credo che non staremmo molto ad aver la pace. (Risa e grida a destra.) Una buona pace!
L'on. von Heydebrand disse inoltre: "Per carità, non facciamo una nuova offerta!" Orbene: io non comprendo questa paura veramente isterica delle offerte di pace. Io condivido un punto di vista diametralmente opposto. Ritengo che sia compito della nostra diplomazia approfittare di qualsiasi occasione che si offra per addivenire alla pace mondiale. (Benissimo al Centro e a sinistra.) Io sono fermamente convinto che anche il Cancelliere condivida la mia opinione. A lui, grande indagatore delle opere di sant'Agostino non è ignoto il bell'aforisma: "È più glorioso uccidere la guerra colla parola che gli uomini colla spada." Il bell'aforisma col quale fu espresso, molti secoli fa, chiaro e netto, il compito della diplomazia. La quale sarebbe in modo imperdonabile dimenticata del suo dovere se non approfittasse di qualsiasi occasione per addivenire ad una pace onorevole e duratura. (Interruzioni a destra.) Che cosa hanno dunque Lor signori da protestare contro le proposte di pace? Se la diplomazia potesse coll'opera sua ottenere che centinaia di migliaia di nostri fratelli cessassero di sanguinare, e non approfittasse della situazione, essa verrebbe spazzata via e maledetta da
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tutto il popolo.
Per quanto io dico ancora una volta di non comprendere questa paura, davvero isterica, delle offerte di pace. Quale altra Potenza nel mondo può oggi onestamente offrire al mondo la pace? Quale altra Potenza ha la forza, come l'Impero tedesco? (Giustissimo! a sinistra e al Centro.) Se l'offerta ci venisse dall'Italia o dalla Francia udirei certi circoli dire con gioia: "Ma che pace! Giù, botte da orbi; che sono lì lì per trarre l'ultimo fiato." Se l'offerta ci venisse dall'Inghilterra, si sentirebbero giù per su [sic] le stesse parole. E a mia volta domando a lor signori: Quante volte abbiamo offerto la pace? (Grida a destra. Una voce: Una dozzina e mezza) Voi affermate cose per le quali manca qualsiasi prova. (È vero! a sinistra.) Noi, si può dire, non offrimmo la pace nemmeno nel decembre 1916. Io non voglio far mio il giudizio di un diplomatico neutrale molto amico della Germania che ebbe a dirmi una volta: "Loro hanno offerto la pace? Ma no, loro volevano imporre la pace colla minaccia della reclusione." (Ilarità a sinistra.) Io non faccio mia – ripeto – una tale espressione; ma leggano il contenuto di certi discorsi che tennero dietro alla offerta di pace in decembre e troveranno che si può anche venire ad una tale interpretazione. Da allora il Governo non ha offerto la pace una seconda volta, dove è dunque la sua dozzina e mezza di offerte, signor von Kreth? Diciassette le rimarranno in tasca. Il Reichstag colla sua "risoluzione" del luglio 1917 non fece che confermare e corroborare l'offerta di pace del decembre 1916. (E rivolto al settore di destra) Loro con-
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siderano, forse, come spregevole il desiderio dell'offerta di pace? Ebbene, come agì il grande maestro della diplomazia tedesca, il principe Bismarck? È, purtroppo, troppo poco noto come il principe Bismarck nel 1870 lottasse formalmente colla Francia per la pace. Nonostante vari insuccessi tornò sempre ad offrire la pace. Eppure l'Impero tedesco nel 1870 si trovava, se confrontato allo stato odierno, in una situazione sopportabilissima. Subito dopo la caduta dell'Impero, Bismarck propose la sospensione delle operazioni militari. Egli voleva che la Repubblica si riconsolidasse e avesse un vero e proprio Governo atto a concluder la pace. (Udite!Udite! a sinistra.) La sua proposta non ebbe successo. Il 18 settembre ebbe luogo il primo colloquio con Jules Favre. I negoziati fallirono. Si trattenne, forse, il principe Bismarck dal procedere a passi ulteriori? Nient'affatto. Già nell'ottobre fece sapere al Governo francese che egli era pronto ad entrare in negoziati. Raccolse una repulsa. Il 13 ottobre, per il tramite dell'incaricato d'affari americano a Parigi, ritornò all'assalto e fu di nuovo respinto. Il 28 novembre anche il capo dello Stato maggiore, conte Moltke, invita il comando dell'esercito francese ad inviare un ufficiale perché si persuada della disfatta dell'armata della Loire. Gambetta – ohimè! che, oggigiorno, abbiamo Gambetta anche in Germania – dichiara: "È una trappola; non ci cadete!" Bismarck permise che Thiers potesse recarsi indisturbato a tutte le Corti europee perché potesse persuadersi che nessuno si sarebbe deciso ad aiutare la Francia. Nel contempo egli prese contatto con lui e gli facilitò in ogni guisa il
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compito. Tutti questi atti non rimasero nascosti; essi possono leggersi nella stampa francese ed inglese di quel tempo, nonché nel libro di Henry Martinet: "Wie Frankreich aus dem Kriege herauskam" (Come la Francia uscì dalla guerra del 1870/71.) Io constato, dunque, che Bismarck non si stancò mai di ritornare alla carica per conseguire una pronta pace colla Francia. Egli pensava, bene a ragione, che la più breve guerra è la guerra più fortunata che vi sia. (Bene! a sinistra.) Ora, nessuno verrà qui a dire che Bismarck abbia fatto quei passi per debolezza. È un'obbiezione delle più superficiali contro gli sforzi per la pace dire che essi siano l'espressione della debolezza. (Approvazioni a sinistra.) Deve essere debolezza, se, mossi da sentimenti umani, si cerca di impedire l'ulteriore spargimento di sangue e di addivenire alla pace? Così agendo, siamo tanto lontani dalla debolezza, che io non posso comprendere chi diversamente opina. (Vive approvazioni a sinistra.)
Per questa ragione il signor Cancelliere ha fatto benissimo a parlare liberamente del Belgio; io sono lietissimo che egli abbia fatto, così, un invito diretto al Governo belga a Le Havre. Il signor von Heydebrand ha dato alle dichiarazioni del Cancelliere una tale interpretazione che non può rimanere senza risposta né in Germania né all'estero. L'on. von Heydebrand ha presentato i suoi fini di guerra dinanzi al Belgio. Cito con alla mano il rapporto della "Kreuzzeitung"; se le mie citazioni non fossero esatte La prego di correggermi.
Primo: La Germania dovrebbe avere la sovranità militare politica ed economica sul Belgio. (Interruzioni
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ed esclamazioni a destra, alle quali l'on. Erzberger risponde.) No, no! Il signor dottor Spahn non ha dichiarato così. Si compiaccia di leggere meglio.
Secondo: Il signor von Heydebrand vuole avere le coste fiamminghe. In quale senso, egli non lo dice.
Terzo: Vuole che la questione fiamminga sia regolata nel senso della Germania.
Sono queste le tre imposizioni che il signor von Heydebrand ha posto dinanzi al Belgio e che ha ricavato dalla sua interpretazione ad hoc del discorso del Cancelliere. L'on. von Heydebrand dovrà ben lasciarsi dire che questa interpretazione è assolutamente falsa e che l'effetto della medesima potrebbe determinare persino il prolungamento della guerra. Ripeto che una siffatta interpretazione è falsissima. (Invettive a destra). Voi non dimostrerete niente! In ogni modo io attendo; come voi dovrete attendere con pazienza finché avrò finito. (Rinnovate interruzioni a destra.) Il dottor Spahn non ha mai parlato della costa belga. Io diedi Loro già spiegazioni su tale questione in una seduta confidenziale presso il Cancelliere. Ma posso farlo anche qui dentro: certe dichiarazioni non hanno un valore eterno, e sono state sorpassate da nuove deliberazioni. Poi presenterò Loro nuovo materiale al riguardo.
L'interpretazione delle parole del Cancelliere da parte dell'on. von Heydebrand è falsa e falsa rimarrà per le seguenti ragioni, anche se il signor Cancelliere non crederà utile tornarvi sopra. Il Cancelliere si è riferito espressamente all'Appello del Papa del 1 agosto dell'anno scorso e ha dichiarato di voler trat-
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tare il Belgio come è detto in quell'Appello, cioè come un paese col quale possiamo vivere in pace e in amicizia. (Interruzioni a destra.) Ma no! Il Cancelliere non si è riferito alla risposta tedesca, ma all'Appello Pontificio stesso. Che se lo tenga bene a mente anche il Signor Stresemann! Qui abbiamo il rapporto stenografico che è una bella testimonianza. Il Cancelliere disse testualmente: "Come è detto nell'Appello Pontificio del 1. agosto." Nella nostra risposta al Pontefice il Belgio non venne, purtroppo, nemmeno mentovato. E basta questo fatto per far franare tutte le vostre elucubrazioni. Che cosa è scritto invece nell'Appello del Papa? Completo sgombro del Belgio colla garanzia dell'indipendenza politica militare ed economica davanti a qualsiasi Potenza. E così anche gli scrupoli del signor Stresemann non hanno più ragione di esistere. Che questa garanzia dell'assoluta indipendenza innanzi a qualsiasi Potenza debba rappresentare una neutralità con nuove garanzie, è troppo evidente. Con questo principio fondamentale accettato dal Cancelliere non vanno assolutamente d'accordo le pretese del signor von Heydebrand, imperocché egli vuol fare del Belgio uno Stato sovrano a immagine e somiglianza, per dare un esempio, dell'Egitto dinanzi all'Inghilterra.
Il Cancelliere vuol vivere col Belgio "in pace e in amicizia". Ora, crede proprio l'on. von Heydebrand che l'Impero tedesco potrebbe vivere in pace e in amicizia col Belgio in base alle sue pretese? Se lo crede, bisogna proprio dire che la sua fede ha più che la forza di muovere le montagne. Quello che Heydebrand domanda,
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somiglia all'annessione come un uovo ad un altro uovo. Io sono sorpreso che un uomo così intelligente come è lui, possa venire ad un'interpretazione siffatta, anche data la circostanza che il Cancelliere nel medesimo discorso, invita il Governo belga a Le Havre ad entrare in discussione, se anche dapprincipio non impegnativa, colla Germania. Il signor Cancelliere ha detto: se dunque dalla parte avversaria ci venisse una proposta in questo senso, per esempio dal Governo in Le Havre, noi non terremmo un contegno negativo. Il Cancelliere ha fatto – io non voglio contendere sulle singole parole – una dichiarazione importantissima. Indubbiamente egli aveva dinanzi agli occhi la risposta del Governo di Le Havre giunta a Natale a Sua Santità; e il Governo di Le Havre si è posto quasi senza restrizioni dal punto di vista della Nota Pontificia del 1. agosto dell'anno scorso. Anche il Cancelliere ha fatto lo stesso, altrimenti non avrebbe potuto pronunciare una tal frase dinanzi al Governo di Le Havre. Per queste quattro ragioni l'interpretazione del deputato von Heydebrand deve esser qualificata inammissibile e falsa. È proprio inconcepibile che vi sia chi possa interpretare in tal modo il discorso del Cancelliere. È anche spiacevole per tutta la nostra posizione all'estero, che noialtri deputati tedeschi contendiamo qui dentro per sapere come debba interpretarsi un discorso. Forse il Cancelliere non mancherà di cogliere la prima occasione per chiarire esso stesso il senso delle sue parole. (Interruzioni.) È vero! Non dovrebbe esser necessario, poiché egli si espresse in modo cosi chiaro, che sarebbe impossibile esser più net-
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ti e più concisi.
Ripeto che la pretesa dell'on. von Heydebrand ha l'effetto, – contro la sua intenzione, lo ammetto francamente – di -prolungare la guerra presso tutti i nostri nemici. Credono Loro che il Belgio accetterebbe oggi una pace come la vorrebbe l'on. von Heydebrand? Ma no. Non ha nessuna ragione di farlo. Peggio di così al Belgio non può andare.
E ancora: Non si ingannino sulla portata internazionale del problema belga per tutti quelli che sono ben disposti verso la Germania. Si guardino bene di fare un torto a questo beniamino del mondo, come ebbi a dire anche in seno alla Commissione. Ogni Stato neutrale, non soltanto i belligeranti, ogni paese neutrale grande o piccolo, – la Svizzera, l'Olanda, la Norvegia o qual altro vogliono, – verrebbe a sentirsi colpito se Lor signori passassero ad effettuare il programma dell'on. von Heydebrand della politica basata sulla forza. Se tale è l'effetto nei paesi neutrali di cui ho parlato, qual non sarà questo effetto presso i nostri avversari? Se Loro, senza volerlo e senza saperlo, vogliono prestare grandi servigi a Lloyd George, comincino a saggiare la ricetta dell'on. von Heydebrand; il primo Ministro inglese non potrà avere collaboratrici migliori, per il prolungamento della guerra, che siffatte dichiarazioni e pretese.
Io deploro che non sia possibile un colloquio diretto libero e franco dei popoli. Del grande interessante dibattito sulla pace, che si è avuto il 14 febbraio alla Camera dei Comuni inglese, l'Havas e la Reuter non
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hanno trasmesso in Germania una sola parola. (Vive approvazioni.) Eppure si tratta di una delle discussioni più interessanti che abbiano avuto luogo da molto tempo alla Camera dei Comuni. Questo giustifica e comprova l'esattezza della mia asserzione, che nel popolo inglese e nella Camera dei Comuni inglese esiste una crescente disposizione d'animo e una corrente favorevole alla prossima conclusione d'una pace generale. (Segni d'attenzione a sinistra.)
Io ho sotto gli occhi un riassunto di questa discussione alla Camera dei Comuni e credo che pure altri colleghi l'abbiano ricevuto. Io voglio leggerne soltanto alcuni tratti perché non noti in Germania ("Benissimo!" a sinistra) per dimostrare l'efficacia della corrente pacifista su tutti i partiti, sugli unionisti, sui liberali o sui laburisti.
Il presentatore della mozione, Holt, disse:
"La potenza della forza non può essere spezzata soltanto con la forza. Se noi vogliamo riparare per mezzo della forza il torto fatto all'Alsazia-Lorena, noi non faremo che attuare la vecchia politica della violenza e non una politica nuova. ecc." Holt domanda se il Governo accolga i punti esposti dal Presidente Wilson. È questa la nostra politica e quella di tutti i nostri alleati europei? – Accanto ai nostri sforzi militari, per i quali nessuna lode è grande abbastanza, occorre giovarsi della saggia arte di Governo del Presidente Wilson. Senza una tale arte di Governo io temo che tutti i nostri grandi sacrifici si dimostreranno vani. –
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Lord H. Cavendish-Bentinck dichiarò:
"L'atmosfera politica è adesso appunto tale che si presta in modo affatto particolare all'azione politica e diplomatica. Non soltanto si sente oggi una brama generale di pace, ma in tutto il mondo è sorto uno spirito nuovo."
Criticando le decisioni del Consiglio di guerra di Versailles egli disse:
"I1 Consiglio di Versailles, che avrebbe offerto un'occasione assai favorevole per una iniziativa diplomatica, procurò al mondo soltanto una dichiarazione che non soddisfece, anzi deluse, ecc."
Il colonnello Herbert, unionista, non liberale, reduce dal fronte, si rivolse in modo tutto suo contro la stampa guerrafondaia inglese, la stampa di Lord Northcliffe, i "Times" ecc., e dichiarò:
"Per questi articoli non muore nessun soldato inglese" Noi non conosciamo un soldato disposto a morire per essi."
Sul cosiddetto "diritto di autodecisione" egli disse, ed è bene che anche in Germania alcuni vengano a conoscere queste parole:
"Se noi fossimo sinceri nel desiderare questo diritto dei popoli a decidere della propria sorte, non vi sarebbe che una sola via, quella, cioè, di domandare a questa gente che cosa desideri. Se noi insistessimo nella vecchia cattiva ignobile abitudine dei Governi che si curano solo del loro vantaggio immediato, di tali Governi che si condussero come l'infima specie degli animali, come una
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seppia che continua a camminare strisciando," – come educatamente noi ci esprimiamo verso il nostro Governo in confronto di questo unionista che osa dir ciò al suo! –
come una spugna che, sebbene tagliata in due parti, continua a vivere; se noi continuassimo a tollerare Governi che non hanno anima, non amore per l'umanità, non sentimenti cristiani, se non dove si tratti della loro propria gente, ma che trattano tutti gli altri come abitanti delle caverne – noi dovremmo aspettarci la bancarotta generale dei contribuenti e la schiavitù generale dei soldati. (Approvazioni sui banchi dei socialisti.)
Ciò disse un colonnello inglese giunto direttamente dal fronte!
White, un liberale, aggiunse:
"Gli unici princìpi sui quali può fondarsi una pace durevole sono principi che devono applicarsi a tutti i belligeranti e determinabili solo se i loro rappresentanti si adunino intorno ad uno stesso tavolino per discuterli."
Sir Walter Runciman, citato dal Cancelliere, fra l'altro, dichiarò:
"Ogni politica annessionistica pregiudica la nostra causa ed una dichiarazione che il nostro paese accetta la formula "nessuna annessione e nessuna indennità" non è leale se si pensa a certe altre dichiarazioni concernenti l'avvenire della Palestina e della Mesopotamia. (Segni d'attenzione.)
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Che cosa debba farsi quanto alle indennità, dipende dall'esito della guerra. Ma nessuna persona ragionevole può considerare come rientranti nei nostri scopi di guerra indennità che devono essere interpretate come un castigo. Per influire la pubblica opinione del nostro paese come quella d'oltre i confini, occorre soprattutto mettere in chiaro che il nostro programma di guerra è un programma onesto."
Vien poi la frase ricordata dal signor Cancelliere che gli uomini di Stato dei paesi belligeranti si riuniscano una buona volta a un tavolino di conferenza per risolvere una serie di questioni preliminari.
Io non voglio leggere le dichiarazioni del capo operaio Snowden, che rimprovera al Ministero degli Esteri inglese di aver parlato senza conoscenza della stampa di tutto il discorso del conte von Hertling – il discorso nella Commissione principale, – e che quindi continua:
"In diversi punti si palesò già un avvicinamento fra il Presidente Wilson e il conte von Hertling, ciò è anche più palese fra Wilson e il conte Czernin."
Il deputato liberale Noel Boxton criticò, quindi, l'idea che ci si debba giovare della diplomazia sol quando il nemico si è dichiarato pronto ad un'intesa.
Il liberale colonnello G. Collins dichiarò:
"Una pace che fosse conseguita soltanto con la pressione militare, non potrebbe mai essere così completa come quella che venisse conseguita me-
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diante gli sforzi comuni della diplomazia."
W. T. Anderson del Labour Party, disse:
"Se l'abilità dei nostri governanti fosse stata eguale ai nostri semplici soldati, la guerra sarebbe già da un tempo terminata." (Segni d'attenzione.)
I. H. Thomas, il leader del Labour Party, e C. P. Trevelyan, il noto pacifista, dichiararono:
"Le idee del paese stanno per mutare; questo spera sinceramente che le sue proprie vedute non siano più le meno simpatiche; esistere perfino soldati, che senza esigere una pace ad ogni costo, domandano perché mai i politici non compiano il loro dovere precisamente come i soldati."
Queste sono parole tratte dalla discussione della Camera dei Comuni inglese del 14 febbraio, intorno alla quale né la Reuter, né la Havas hanno comunicato una sola parola. Ma pure nella stampa tedesca non si è, purtroppo, trovata quasi alcuna traccia di esse. (Voci dai banchi dei socialisti).
Se ciò sia accaduto per colpa della censura oppure per motivi tecnici, per la mancanza di carta, io non so. Certo è, però, – se si considerano questi fatti avvenuti alla Camera dei Comuni – questo: la politica del Ministero di Lloyd George non è sostenuta punto da quella concordia e unità che la Reuter e la Havas vorrebbero dare ad intendere al mondo. In Parigi si osservano pure queste cose con grande attenzione e ansia. Si teme perfino, a Parigi, in alcuni circoli, che Lloyd George, per mantenersi a galla, sia costretto a tener conto nelle sue riflessioni di uomini politici spiccatamente favorevoli
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alla pace, come il Trevelyan e il Morley, testé citati. Clemenceau sa bene che egli non può contare che l'Inghilterra combatta a tout prix per ogni piano annessionistico francese. Proprio nella mentalità del popolo francese e dell'inglese si nota una differenza assai notevole e profonda. In Inghilterra una riunione per la pace tien dietro all'altra. In Francia s'incarcera chiunque dica una parola per la pace. (Esclamazioni dei socialisti.)
In Francia si agisce in modo simile ai bolscevichi spadroneggianti in Pietrogrado.
Ma anche la concezione del pensiero fondamentale è assai diversa in Inghilterra e in Francia. Che il Presidente Wilson non sia d'accordo con le decisioni del Consiglio di guerra di Versailles, è un fatto noto. (Approvazioni.) I nostri diplomatici si renderebbero assai benemeriti conformando a questo fatto le loro decisioni per il benessere generale della patria tedesca e dell'Europa intera. (Nuove approvazioni.) Ma correnti quali quelle accennate, condurranno probabilmente a nuovi spargimenti di sangue in Europa, se verranno esposti programmi di scopi di guerra come quello del deputato von Heydebrand rispetto al Belgio. (Approvazioni.) Il popolo tedesco deve prendere tutte le misure per impedire la ripetizione di una simile spaventosa guerra. (Nuove approvazioni.) Credete voi che un Belgio oppresso garantirebbe la quiete in Europa? Io non lo credo. Io mi spingo più in là e dico: Per l'avvenire della Germania e il suo prestigio nel mondo, richieste come quelle esposte dal deputato von Heydebrand non sono asso-
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lutamente indispensabili. (Approvazioni.) Anche senza di esse la Germania è divenuta, prima della guerra, grande Potenza. (Nuove approvazioni.) Se ci riesce di rendere impossibile la guerra economica, io ho tanta fiducia nella energia e nella diligenza del popolo tedesco, che credo gli riuscirà di risalire alla passata grandezza e potenza. (Applausi.)
E ancora: Le richieste del deputato von Heydebrand mi sembrano inaccettabili pure dal punto di vista del diritto. La dichiarazione che il diritto internazionale riuscirà distrutto, dopo questa guerra sanguinosa, è vana. Costituisce, anzi, un trionfo del diritto internazionale il fatto che durante questa guerra sono stati stipulati più accordi internazionali che in qualunque periodo di tempo prima. (Approvazioni.) A protezione dei nostri prigionieri di guerra noi abbiamo dovuto stipulare accordi coi nostri nemici in mezzo alla guerra. E tutto il mondo è fermamente convinto che dopo la guerra il diritto internazionale farà nuovi progressi. Orbene, dal punto di vista del diritto io dico: Il Cancelliere von Bethmann-Hollweg disse, il 4 agosto 1914: "Noi siamo penetrati nel Belgio, noi sappiamo di aver commesso con ciò una violazione, ma necessità non conosce legge." Io non condivido l'opinione espressa dal Cancelliere nel primo inciso e colgo l'occasione per manifestarlo. Se noi avessimo saputo di commettere una violazione del diritto penetrando nel Belgio, noi che in politica sosteniamo il punto di vista del diritto e della morale, avremmo dovuto, il 4 agosto, protestare. Senonché noi non abbiamo commesso nessuna ingiustizia:
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giacché il Cancelliere von Bethmann-Hollweg lo ha detto lui stesso: necessità non conosce legge. Il secondo inciso è in contraddizione con il primo, giacché se la necessità non conosce legge io non commetto nessuna ingiustizia esercitando il diritto di legittima difesa nei debiti limiti. Noi siamo penetrati nel Belgio, secondo le dichiarazioni del Cancelliere, muovendo dal punto di vista della legittima difesa, un concetto riconosciuto anche giuridicamente. Noi, quindi, possiamo rimanere nel Belgio solo sino a quando sussista questo stato di necessità, ma caduta che sia la premessa, cade pure il titolo di diritto per la marcia nel Belgio. Questa deduzione logica è così chiara che non può essere contestata. (Approvazioni sui banchi del Centro.)
Che la questione belga non può essere definitivamente separata dalla pace generale, lo ritengo anch'io pienamente d'accordo con il collega dottor Stresemann. Ma se egli pure designa il Belgio come un pegno, io mi permetterò di ricordargli che l'idea di pegno racchiude l'obbligo di restituirlo il più possibilmente intatto. Altrimenti non è nient'affatto un pegno.
Tanto sulle dichiarazioni del deputato von Heydebrand. – Sintetizzando, io posso dire che non condivido la sua interpretazione del discorso del Cancelliere. Io non la ritengo fondata nelle parole del Cancelliere, ma penso, invece, che le parole del Cancelliere vadano interpretate come ha fatto il deputato Trimborn. Il collega Trimborn citò le passate dichiarazioni del collega Fehrenbach del 9 ottobre, nel qual giorno noi ci manifestammo chiaramente e concordemente sulla questione belga,
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e ciò che il deputato Trimborn ha adesso detto sulla questione belga ha ottenuto l'approvazione unanime di tutta la frazione. Forse (rivolto ai banchi di destra) Lor signori si tranquilleranno adesso e non ripeteranno l'interruzione di prima.
La "risoluzione" del luglio, lo dissi già, costituisce anche la miglior base per ottenere per la Germania ciò che il Segretario di Stato dottor Solf ha esposto come suo scopo particolare: un grande e compatto Impero coloniale. Infatti il rifiuto di espansioni territoriali violente porta, naturalmente, alla conseguenza che le colonie debbano essere restituite alla Germania. Il popolo tedesco deve essere grato al Segretario di Stato dottor Solf, perché egli, con tanto zelo, si adopera di continuo a far propaganda, in ogni ceto della popolazione, per un grande scopo, uno scopo di somma importanza per l'avvenire della Germania; e coglie ogni occasione per additare nuove vie per una grande politica coloniale mondiale. Le discussioni coloniali che avvengono nella Camera dei Comuni inglese – di quelle francesi io non parlo, perché là sono rare – si svolgono, per lo più, nel modo consueto. Una prova ce l'ha fornita il discorso del generale Smuts. Io sottolineo le parole, pronunciate recentemente nella Camera olandese, discutendosi il bilancio delle colonie, e cioè che il dottor Solf è la persona che ha additato a tutta l'Europa nuove vie nella politica coloniale. (Approvazioni sui banchi del Centro e della sinistra.)
Si è fatto vivo elogio delle nostre valorose truppe coloniali dell'Africa orientale. Noi ci uniamo natu-
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ralmente a questo elogio. Ma permettetemi che io dica: la politica verso gli indigeni dell'ex-governatore dell'Africa orientale, barone von Rechenberg, ora deputato al Reichstag, è stata magnificamente dimostrata buona dai fatti. (Applausi al Centro.) Forse che gli indigeni avrebbero perseverato a combattere per anni con noi, come a nostro vanto, a nostro onore, possiam dire, se dal governatore dell'Africa orientale non fosse stata attuata la politica ragionevole del savio e giusto trattamento degli indigeni? Io estendo il ringraziamento al Segretario di Stato per le colonie d'allora, Dernburg, che, nonostante i molti attacchi mossi precisamente alla politica nell'Africa orientale, sostenne la giustezza di questa politica. Essa ha, adesso, superato nell'Africa orientale la prova del fuoco. Fu giusto l'educare, come noi facemmo, gl'indigeni e l'astenerci da ogni politica di violenza. Ciò che accade qui o nell'Africa orientale è il medesimo: nella Marca orientale, in Curlandia o nel continente nero, sono sempre gli stessi princìpi per i quali vien sempre e dappertutto disputato. Se là, secondo i princìpi africani, non si fosse fatto uso in questa savia maniera del diritto dei popoli a disporre di se stessi, come fu sostenuto in aspra lotta parlamentare, – io ricorderò i discorsi del deputato von Lieber e di quanti altri in quest'aula dai banchi di destra insorsero contro di essa, – se questa politica non fosse stata attuata, i quattromila uomini di truppe coloniali non avrebbero potuto tenere il campo nemmeno quattro settimane, se non avessero potuto giovarsi dell'aiuto e della fedeltà degli indigeni. Questo è uno dei più splendi-
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di attestati della bontà della politica coloniale tedesca sostenuta da noi nel Reichstag. (Approvazioni e applausi al Centro.)
Gli sforzi del Segretario di Stato dottor Solf, che è in una condizione invidiabile essendo l'unico Segretario di Stato che abbia un programma di scopi di guerra così nettamente circoscritto, noi li appoggiamo di gran cuore. Noi dovemmo acquistare colonie come se ne presentò l'occasione, una qua, una là; si approfittò di ogni occasione per metter piede qua e là per mezzo di permuta, compera, affitto, ecc. Io non voglio riandare quanto nel giro di trent'anni è stato fatto. Oggi, noi ci troviamo dinanzi a un riordinamento di tutta la politica africana e fors'anche dell'interno dell'Asia, per lo meno, dinanzi ad un riordinamento di tutta la politica africana. Noi domandiamo, nella nostra risoluzione sugli scopi di guerra, la restituzione completa di tutte le nostre colonie. Che cosa si dovrà poi fare per ottenere, per mezzo di permuta, invece del frammentario e disperso possedimento coloniale un grande omogeneo Impero coloniale, capace di difendersi da sé, è cosa da esaminarsi nelle trattative di pace.
Noi appoggiano assolutamente il Segretario di Stato dottor Solf nella sua offensiva contro le idee inglesi della militarizzazione degli indigeni. Io gli sono anche grato per il discorso tenuto qui in Berlino – se non sbaglio nella Singakademie – e nel quale egli ha sostenuto la piena libertà delle missioni contro gli sforzi per ottenere che nelle colonie inglesi siano ammessi soltanto missionari inglesi, nelle francesi solo missiona-
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ri francesi e, poiché i signori pretendono che la Germania non abbia più colonie, che l'opera delle missioni tedesche cessi del tutto. Noi sosteniamo l'azione del Segretario di Stato dottor Solf, e siamo pure fermamente persuasi che egli otterrà un pieno successo. L'Africa è grande abbastanza per poter appagare i giusti desideri di tutti i popoli coloniali.
Io dico ancora: La politica coloniale in Africa non può fare a meno dello spirito tedesco e della influenza tedesca. (Vive approvazioni.) Noi lo abbiamo dimostrato – io ricordo di nuovo la nostra politica nell'Africa orientale, dove la storia lo ha indicato –: senza la collaborazione del popolo tedesco è impossibile l'incivilimento, la coltivazione e la conversione al cristianesimo dell'Africa. Né si tratta già unicamente di gretti punti di vista tedeschi, connessi con la nostra politica economica, che ci inducono a sostenere queste richieste, ma sono grandi generali ideali umani quelli che noi rappresentiamo esigendo che nella nuova ripartizione del mondo africano pure la Germania sia ammessa nella misura che le spetta.
Potrei chiudere il mio dire sulla risoluzione per la pace, ma debbo giungere ancor una parola, nonostante la preghiera due volte ripetuta dal Cancelliere di metter da parte nel Reichstag ogni dissidio e di sotterrare l'ascia di guerra. Io sono personalmente assai grato al nostro nuovo Vicecancelliere, al mio stimatissimo conterraneo von Payer, per essere insorto contro la maniera con la quale si tenta di negare la buona fede a coloro che approvano e sostengono la risoluzione per la
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pace. (Approvazione al Centro e a sinistra.) Il deputato von Heydebrand fu un po' sorpreso e domandò dove ciò sia mai accaduto. (Ilarità) Il deputato von Heydebrand ha, poi, palesata una suscettibilità politica che mi è incomprensibile, considerata la sobillazione sistematica recentemente bene organata contro la maggioranza del Reichstag e singoli membri del Reichstag. (Vive approvazioni.) Deputato von Heydebrand, fu Ella forse negli ultimi sei mesi fuori dei confini tedeschi, o non ha Lei letto alcun giornale, così che nulla è venuto a sua conoscenza di questi fatti? (Voci da varie parti. Campanello del Presidente.) Basta dare un'occhiata alla stampa pangermanistica annessionistica di destra e già alla lettura dei titoli dati alla discussione sul discorso del Vicecancelliere si avrà un'idea di ciò che si è avverato nell'ultimo mezzo anno; basta, per esempio, vedere che la "Deutsche Zeitung" nel numero 452 afferma, tra l'altro, che l'unico giudice per Payer, Erzberger e Scheidemann è il giudice Lynch (rumori), che essa è persuasa che la posterità annovererà questi tre deputati tra "i più grandi farabutti e traditori della storia mondiale." (Proteste alla sinistra e al Centro.) La medesima "Deutsche Zeitung" scrive:
"Il popolo tedesco, come sarà venuto il tempo per un più calmo e oggettivo giudizio, segnerà a dito Lei, signor Erzberger, Lei, signor von Payer, Lei, signor Scheidemann, e dirà ai suoi figli: "Questi sono gli uomini che nel tempo in cui la patria correva il massimo pericolo, con evidente fellonia, conseguirono vantaggi per i loro scopi partigiani." (Proteste a sinistra e al Centro.)
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Nella "Deutsche Tageszeitung" No. 53 di quest'anno, il conte Reventlow ci rimprovera che noi ci adoperiamo a spezzare all'Impero la spina dorsale. E nel numero 81 dell'anno scorso egli scrive in un articolo:
"I duci della maggioranza per la pace-fame hanno dimostrato come meglio non sarebbesi potuto, di meritare il titolo di fornitori insigni di argomenti contro l'avvenire dell'Impero germanico al Presidente degli Stati Uniti." (Ilarità.)
Nella "Deutschlands Erneuerung", una rivista mensile pangermanistica, si parla del "cretino vaneggiamento di conciliazione." (Ilarità.)
Nel primo numero di quest'anno del "Vaterland", l'organo ufficiale dei conservatori sàssoni, i promotori della risoluzione del 19 luglio dell'anno scorso, sono vituperati per gli "stessi elementi che il principe Bismarck era solito chiamare "nemici dell'Impero"."
I giornali pangermanistici consigliano di designare a priori falso tutto ciò che non proviene da giornali di destra, e ritener sempre come vero il contrario. (Ilarità.) Così la calunnia sistematica viene fissata a norma.
Io non voglio soffermarmi su tutta una serie di espressioni del principe von Salm, del prefetto Senfft von Pilsach. Ma io domando se tutto ciò non sia noto al deputato von Heydebrand. (Vivaci interruzioni a destra.) Io aspetto tranquillamente la prova. Io sono così esigente da voler sempre la prova. Io domando di nuovo: – Tutto ciò è rimasto ignoto al deputato von Heydebrand? Egli dice di non poter essere chiamato a rispondere di
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tutto quello che può avvenire in un grande partito. Io dico con il deputato Stresemann, – in considerazione dei discorsi addirittura antipatriottici dell'ex-deputato von Oldenburg all'Assemblea giubilare della Lega degli agricoltori nella Philarmonie, e che non urtarono nella minima protesta, sebbene meritino la più viva riprovazione, – che è giustissimo che il Governo si difenda contro persone ed elementi che gli rendono difficile il già tanto difficile lavoro per la pace. Il Governo ne ha diritto, anche se ciò accada verso la destra. (Approvazioni.) Ma io dico di più. Si tratta di una bene organata sobillazione sistematica contro la maggioranza e alcuni membri di essa con mezzi modernissimi della peggiore corruzione di tutta la nostra vita pubblica; di una corruzione che è peggiore di quella nella stampa degli Stati Uniti. (Approvazioni.) La prova inconfutabile ce l'ha fornita – e gliene siamo grati – lo storico di Lipsia professor dottor Walter Goetz. Il suo scritto è così interessante che io non posso trattenermi dal fare qualche citazione.
Egli dimostra in che modo avvenga un sistematico influenzamento da parte della industria degli armamenti organata nella cosiddetta Ala negli avvisi per l'estero della Società Ala, e come questa gente in intima unione col "Partito della Patria" e la "Lega pangermanica" procedano ad influire sulla pubblica opinione a suon di quattrini. Addurrò solo una prova. I giornali ricevettero annunzi che riempivano un'intera pagina. Si offrirono anzi annunzi per la prima pagina da inserirsi subito dopo l'articolo di fondo, una cosa tanto sconosciuta quanto costosa nei giornali tedeschi. Non è lecito in
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questo caso parlare di "soprapprezzi"? Il Goetz racconta poi come periodici professionali, che non stamparono mai simili avvisi – sui quali io tornerò fra poco perché loro abbiano un'idea di essi, – siano stati compresi nel lavoro di propaganda. La popolazione viene inondata con scritti a stampa sino nei più piccoli villaggi, sino nelle file dell'esercito, che pure dovrebbe tenersi lontano da ogni contesa. Il Goetz dimostra, inoltre, che in città della Germania centrale fra Cassel e Dresda, sono stati comprati giornali a prezzi molto superiori al valore reale. Egli cita un caso nel quale il proprietario aveva indicato il valore del suo giornale in 700.000 marchi e al quale venne offerto un milione e mezzo. (Rumori.) Chiunque conosce anche solo un poco l'industria giornalistica sa che in guerra la pubblicazione di un giornale non è una impresa lucrosa, che anzi ha bisogno di sussidi, dato il costo delle materie prime e le aumentate mercedi.
Ma più ancora! Si dia un'occhiata in qualunque dei giornali dei quali discorriamo. Che si trova? Si trovano, come dice a ragione il professor Goetz, grandi avvisi nei quali una acciaieria offre al pubblico tedesco "munizioni d'artiglieria, granate, shrapnels e canne da cannoni." (Rumori al Centro e a sinistra.) O che, signori, un privato può acquistare nell'Impero germanico munizioni d'artiglieria, granate, shrapnels e canne da cannoni? In altri avvisi si offrono aviplani e automobili. (Nuovi rumori al Centro e a sinistra.) Forse che in Germania un privato può acquistare, durante la guerra, simili cose? L'amministrazione militare conosce i suoi fornitori e non ha bisogno di avvisi-richiami. D'altro canto io
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non posso ammettere che queste inserzioni abbiano lo scopo di vendere all'estero articoli siffatti; non posso ammetterlo per il patriottismo di chi li paga. Me la vendita all'estero di simili cose è proibita! Che cosa significano dunque, domando, queste gigantesche inserzioni nei giornali? (Approvazioni al Centro e a sinistra.) Negli Stati Uniti si dice che questa o quella elezione, questo o quel movimento politico, vengono originati con la corruzione delle stampa, e, tuttavia, ciò ha questo di buono, che coloro che fanno le elezioni con tal mezzo, pervengono poi al potere e ne debbano assumere la responsabilità. Ad ogni modo si tratta di mezzi consueti in quel paese. Invece se da noi si lavora in modo simile, è chiaro, o signori, che altri debbano essere gli scopi. Quali, io non so. Gente che ha tanto danaro da spendere saprà benissimo perché operi cose simili in Germania; e se, contemporaneamente, non si stancano dal combattere la risoluzione del Reichstag e alcuni membri della maggioranza del Reichstag, non deve poi riuscire strano che questi deputati si facciano i loro pensieri su simili manifestazioni nella vita pubblica. (Approvazioni al Centro e a sinistra.) Ma quanto ho esposto sin qui non è che ben poco. Io potrei – ma non voglio trattenerli – addurre ancora moltissimo materiale prodotto negli ultimi sei mesi da questa gente di cui parlo. Né si attacca solo la maggioranza, ma si attaccano, in modo tutto speciale, singoli deputati.
Signori, io non voglio stare ad esporre loro quanto di falso è stato detto pubblicamente sul mio conto. Io mi consolo con la verità del proverbio: "Non si mentisce
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mai tanto come prima di una elezione, durante una guerra e dopo una caccia."(Ilarità.) Quanto questo proverbio sia vero, si può esperimentarlo ogni giorno. In tutto ciò per me è interessante solo una cosa. L'ultima tempesta di giornali scatenata contro di me ebbe principio immediatamente dopo che io, in una sotto-commissione della Commissione principale, feci la proposta che alle poche persone che oggi hanno ancora licenza di esportare all'estero, fosse tolta interamente la differenza fra il prezzo all'interno e quello all'estero. (Segni d'attenzione al Centro e a sinistra.) Allorché io ebbi provato nella Commissione che in questo tempo a pochi esportatori in Germania, che sono tutti in stretti rapporti con la gente sin qui in parola, sono scivolati nelle tasche non meno di 644 milioni (rumori al Centro e a sinistra) a pochi fornitori di carbone, a pochi fornitori d'acciaio, a pochi fornitori di prodotti chimici, ebbe principio il turbine. La differenza fra i prezzi all'estero e i prezzi all'interno, detratta la somma da pagarsi all'Impero, è andata a vantaggio di costoro. (Nuovi vivi rumori e grida al Centro e a sinistra.) Questo guadagno inaudito è, come si può provare, di 644 milioni di marchi. Su questa faccenda noi ci intratterremo ancora. Noi domanderemo pure al Governo perché fece godere per anni questi enormi guadagni a pochi fortunati in Germania (approvazioni al Centro e a sinistra); perché egli intaccò questi guadagni solo in misura lievissima, molto più che noi dobbiamo pagare all'estero prezzi orrendi per i viveri. (Approvazioni al Centro e a sinistra.) Perché i prezzi per i viveri che importiamo dall'estero sono addirittura vertiginosi? Per-
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ché i prezzi per il carbone, per i prodotti chimici ecc. vennero rialzati tanto! Noi, dunque, in Germania paghiamo queste cose due volte. Una prima sotto forma di alti prezzi di viveri all'estero e una seconda nel soprapprofitto che questi signori hanno intascato. (Segni d'attenzione al Centro e a sinistra.)
Assai interessante fu per me l'accertare la coincidenza di questa campagna di stampa e la mia proposta nella sottocommissione. Naturalmente io sono così ingenuo da non credere nient'affatto ad una connessione intima in questa cosa. (Grande ilarità.) A me basta mettere in rilievo questa coincidenza.
E qui permettetemi ancora una parola. Contro i deputati della maggioranza, anche contro di me, si lavora con le più risibili storielle e con le più volgari calunnie e maligne diffamazioni. (Approvazioni alla sinistra e al Centro.) Giorni sono il Ministero della Guerra mi fece conoscere una lettera che si rivelò subito una falsificazione, sia quanto al testo, sia quanto alla mia firma. (Segni d'attenzione.) Chi l'avrebbe creduto possibile! (Voci a destra.) – No, signori, nella questione di Bautzen io sono sempre del mio avviso, state tranquilli. Sino a tanto che io ho qualche cosa da dire e sino a tanto che mi viene richiesta la mia opinione, sino a tanto che Lor signori (rivolto a destra) fanno questa politica, io dirò sempre: Elettori del Centro, rimanetevene e casa, non eleggete alcun candidato del "Partito della Patria"! (Vive approvazioni a sinistra e al Centro.) Io l'ho dichiarato sempre apertamente e mai l'ho negato. Al collega von Graefe io dichiarai subito: Sicuro, io ho scritto la
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lettera. (Interruzioni a destra.) Forse ciò può essere sradito a Lor signori. Non si spaventino se raccolgono il frutto della Loro politica. (Nuove interruzioni a destra.) No, signor Kreth, l'aiuto politico che noi abbiamo ricevuto da Lei, non ci siamo mai stancati a portarlo. (Ilarità. – Nuove grida a destra – Campanello del Presidente.)
Io non mi lascio frastornare. Io dico soltanto: interrogato ho dichiarato che i nostri amici non dovevano eleggere là nessun nemico della "risoluzione della pace" e nessun amico del "Partito della Patria." Signori, voi dovete ammettere che, avendo rispetto per i miei propri sentimenti, io non potevo fare altra dichiarazione. (Vive approvazioni al Centro e a sinistra.) Io non posso dire: Eleggete nemici della "risoluzione per la pace", eleggete amici del Partito della Patria." Tanto non si può pretendere da me. Io debbo, anzi, dire: Se i conservatori ritengono che ciò sia ancora possibile, bisogna che essi disimparino ancora in molti campi.
E adesso qualche accenno delle più insulse storielle. Alcuni giornali hanno sostenuto che io ho speso all'estero 28 milioni. (Risa a sinistra e al Centro.) I lettori conservatori credono ciò! Io avrei un libro di assegni bancari nel quale non ho che da scrivere le cifre: me lo avrebbe dato il signor von Bethmann-Hollweg! (Grande ilarità.) Ciò vien creduto, propalato da propagandisti del "Partito della Patria" e perfino comunicato a membri di questa assemblea.
Ma c'è di più: un deputato conservatore si è dato, sul serio, la pena, di correre dietro all'automobile di servizio che fu messa a mia disposizione (nuove risa e
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interruzioni) di far pratiche in varie Segreterie dell'Impero perché mi venisse tolta questa automobile della quale io mi servo soltanto per eseguire certi lavori che mi sono addossato. (Voce a destra: "Se ne è servito solo per questo?") Mi fu messa a disposizione per questo scopo ed io non ho da rendere a Lei, deputato von Graefe, nessun conto, anche se Ella tornerà alla carica al Ministero degli Esteri e al Ministero della Guerra. (Movimento a sinistra e al Centro, e voci.)
Ringrazio pur io per questa manifestazione di colleganza.
Ma andiamo avanti. Che non viene affermato nei giornali pangermanistici! Citerò alcune sciocchezze. Si sostiene che nel maggio 1917 io abbia avuto, sul lago di Thun, un colloquio col generale dell'ordine dei Gesuiti che stimo grandemente, e che poi io abbia varcato le alpi travestito da frate (viva ilarità), mi sia recato a Roma e abbia avuto con il Santo Padre una lunga conferenza, quindi abbia fatto ritorno passando da Monaco e da Vienna e così sia nata la "vile risoluzione" del Reichstag. (Ilarità.) Or non è molto un giornale pangermanista ha affermato che durante la guerra io sono stato a Londra, s'intende pure per incarico di Sua Santità il Papa. Ciò viene creduto. Per diffonder questo in Germania il "Partito della Patria" ha sempre danaro e carta.
Da altri vien detto che il pensiero fondamentale della mia politica è la costituzione di un Impero cattolico attraverso il frazionamento degli Stati tedeschi meridionali, perché la Corona imperiale trapassi alla casa di Asburgo. (Nuova ilarità.) Questa cosa viene ritenuta così
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importante che se ne fa oggetto di una denunzia in piena regola. Ancora. Nel mio collegio elettorale i pangermanisti affermano che io appartengo al Consiglio di vigilanza della "Kriegsleder-Aktiengesellschaft" (Società per Azioni per i cuoiami di guerra) ove siedo, per desiderio del Ministero della Guerra, insieme con altri colleghi. Come altri colleghi io sono entrato in queste società per desiderio del Ministro della Guerra senza percepire un solo Pfennig. (Voci dai banchi dei nazionali-liberali). Sicuro; solo fatiche e molestie. – Nondimeno si propala che io intasco 300.000 marchi di quota personale all'anno e che questa è la ragione del caro prezzo del cuoio. (Vivissima ilarità.) Nel mio collegio nessuno ha bevuto la panzana, ma sì nella furba Sassonia.
Signori, non crediate che se abbandono questo argomento io abbia raccontate tutte le insulse storielle. È impossibile schiacciare quest'idra dalle mille teste, ma ciò non può destare presso ogni uomo politico e parlamentare indipendente che riso e stupore sulle malattie di guerra. (Voce dal Centro.)
– Pure questa! Ciò serve a rallegrarmi la vita. Ma le diffamazioni volgari e maligne muovono la nausea.
Fra queste io annovero la faccenda avvenuta negli ultimi giorni. L'"Ufficio stampa di guerra" pubblica una notizia secondo la quale dall'estero verrebbe fatta una grande propaganda per ottenere l'allontanamento del benemerito generale Ludendorff. Quali prove abbia avuto in mano l'Ufficio stampa di guerra noi ci riserviamo di domandare in Commissione, e di esigere che ci venga presentato il materiale. (Approvazione al Centro e alla sinistra.) Dif-
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fondere una simile notizia è buon diritto dell'Ufficio stampa di guerra, io non lo nego, ma che è accaduto? Un giornale pangermanista, se non sbaglio le "Berliner Neuste Nachrichten" – io non posso leggere tutto, me ne manca anche il tempo – interpreta la cosa così: Naturalmente è solo Erzberger che può far ciò. Un altro giornale, la "Tägliche Rundschau" scrive: Ecco perché Erzberger si reca tanto spesso in Svizzera! Ciò si osa insinuare contro di me che pure non una volta sola, ma più volte in pubblico – ricorderò il mio discorso in Ulm il 23 settembre – ho tributato al generale feldmaresciallo von Hindenburg e al generale von Ludendorff quella ammirazione che ogni Tedesco deve ad essi. Leggerò solo questo passo:
"A chi dobbiamo noi le nostre magnifiche gesta eroiche? Al gran dono di Dio, all'ammirabile connubio dei più grandi geni militari dai tempi di Napoleone, al binomio di Hindenburg-Ludendorff, i grandi duci geniali e impareggiabili."
Io credo, che ciò basti. Nondimeno questa stampa annessionistica osa mettere il mio nome in connessione con le presunte macchinazioni. Io ho fatto due dichiarazioni pubbliche. Credono Loro che un solo di questi giornali le abbia riportate? (Da più parti si grida: No!)
No, essi ci hanno ritornato sopra altre storielle. Prove essi non ne hanno; quando si tratta di metterle fuori non c'è verso che si facciano avanti. Non rimane, in conclusione, dunque, che sempre una infame calunnia.
Ma più ancora. Non solo a mio riguardo, ma, per esempio pure del collega Hausmann è stato detto che noi siamo stati corrotti direttamente dalla Francia e dall'In-
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ghilterra. (Segni d'attenzione al Centro e a sinistra.) Diffamatori senza coscienza nella Prussia orientale disputano ancora se io abbia ricevuto due milioni di marchi oppure due milioni di sterline dall'Inghilterra. (Grandissima ilarità. Voci dalla sinistra e dal Centro.)
– Anche nei fogli volanti del "Partito della Patria" si parla se il puro oro della Banca di Francia sia reperibile nel mio cuore. Io potrei certamente ricorrere ai tribunali contro questi volgari diffamatori, ma credo che basti additarli al pubblico disprezzo. (Vive approvazioni al Centro e a sinistra.)
Si pretende poi – e questo è proprio il colmo – che io abbia partecipato ad un furto nel 1907 nel quale fu rubato del danaro. Questo osano dirlo dopoché tutto quanto l'affare fu discusso particolareggiatamente nel Reichstag già il 17 e il 19 di marzo del 1907. Si tratta delle lettere che l'associazione che si intitola "Flottenverein" scrisse contro i socialisti e contro il Centro nella nota campagna elettorale nella quale io fui preso specialmente di mira. In queste lettere riunite in fascicolo e pubblicate allora, come è noto, col sussidio della Cancelleria dell'Impero e di tutto l'apparecchio ufficiale, come si poté assodare poi, si leggeva: "Le bugie del signor Erzberger." Al riguardo furono pubblicate lettere, e già il 17 marzo 1907 l'on. Fischer ebbe a dire qui dentro:
Già il 6 febbraio si poté assodare nell'ufficio dell'Associazione detta "Flottenverein" che nessunissima lettera era stata rubata. (Grida e interruzioni a destra: Copiata!) Già: copiata e rubata
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sono due cose ben diverse. Nessuna lettera fu rubata; si tratta solo di un abuso di fiducia non commesso mediante furto, ma determinato da una comune sconsideratezza nell'ufficio del "Flottenverein". Non ho bisogno di ricordare Loro che il partito nazionale-liberale nella Dieta badese non esitò a permettere la lettura di una lettera involata.
Questo avvenne il 17 marzo 1907. Nello stesso giorno il collega dottor Schaedler dichiarava:
Su queste lettere è ora in giro una storia incredibile. Eppure è già stato assodato che è assolutamente escluso si tratti di furto.
E così si osa implicare la mia persona in un furto, mentre si sa che ad ogni parlamentare vengono messe a disposizione, anche troppo spesso, copie di lettere perché, a secondo dei casi, se ne serva nell'interesse della epurazione pubblica. Per portare un solo esempio il Cancelliere dell'Impero Michaelis si disse felice di poter comunicare al Reichstag germanico una relazione segreta della Camera francese sulle intenzioni dell'Intesa.
Lor signori potranno ben comprendermi se confesso che spesso lo schifo e il disprezzo mi sale fino alla gola, a vedermi costretto a combattere con una tale genia di bordaglia e di canaglia. (Vivaci approvazioni del Centro e dei socialisti.)
Signori deputati! In quest'aria ammorbante e pestilenziale, il discorso del Vicecancelliere von Payer ha fatto l'effetto di una tempesta purificatrice. (Vivi applausi a sinistra.) Il signor Cancelliere ha protestato che si neghi la buona fede al partito della maggioranza e soprattutto agli avversari politici. (Rivolto a destra.) Io domando
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Loro: quando mai io, ho agito in tal modo contro di Loro? Possono portare qui anche la più lieve traccia di prova per un siffatto metodo di lotta da parte mia? (Approvazioni al Centro e a sinistra.) Il lavoro per l'opera della pace è aspro e faticoso perché le opinioni sono sempre diverse. Chi lavora all'opera di pace, a quest'opera eletta per il nostro popolo e per tutta l'umanità, quegli sa che sarà anche attaccato. Ma questi attacchi dovrebbero svolgersi nell'àmbito dell'onestà politica, nell'àmbito del sopportabile e dal lecito. (Grandi applausi al Centro e a sinistra.) Sono dolente di aver dovuto trattenere così a lungo la Camera colla narrazione di tali storie. Ma io dico: il mio scudo è bianco; combattano le mie idee, ma non oltraggino la mia persona! Del resto io metto anche la mia persona a loro disposizione. Speriamo che la discussione odierna abbia conseguito un certo risultato, ma non me ne riprometto molto. (Ilarità.) Questo sia detto in quanto alla risoluzione di pace e a tutte le discussioni ad essa collegate.
Ancora una parola sulla costellazione della politica interna e le osservazioni su di essa fatte. Su questa formazione e sul lavoro collettivo dei partiti della maggioranza circolano nel paese molte opinioni e affermazioni sbagliate. Si parla di un blocco della maggioranza, si parla di una maggioranza che rimarrà unita in ogni caso, che vuole sbrigare il lavoro su qualsiasi ramo. Le cose non stanno precisamente così. Lo disse ieri il collega Trimborn, l'ha detto ancora l'on. Scheidemann e ripetuto il deputato Wiemer, che noi ci siamo uniti soltanto per risolvere certi lavori durante la guerra, e, più preci-
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samente, su un programma ben stabilito; e che, al di là di questo programma e terminati che siano questi lavori, ogni singolo partito riprenderà la più completa libertà d'azione. Anche nella nostra collaborazione abbiamo sempre dato libero campo alle sfumature troppo naturali in seno a questa maggioranza. Così, per esempio, non abbiamo mai preteso che l'on. Scheidemann prestasse giuramento sul programma del Centro. (Ilarità) E nemmeno abbiamo mai fatto cosa che potesse, in qualche modo, distogliere il Centro dal suo programma e dalle sue pretese. Precisamente lo stesso dicasi del partito democratico progressista. Ora, contro questa maggioranza si va continuamente minando. Ci sono circoli che vorrebbero farla saltare in aria. Nell'interesse del Reichstag e della patria tedesca ritengo che sia questa un'azione irresponsabile. Credono Loro che se nel Reichstag si formasse una nuova maggioranza potrebbe essa addossarsi, così compatta, il disbrigo degli affari che debbono essere risolti nell'interesse dell'Impero? (Grida e interruzioni a destra.)
Se i conservatori sono pronti ad attuare il suffragio uguale, a mettersi sul terreno della risposta tedesca all'Appello Pontificio, ad abrogare il § 153 dei Regolamenti per le industrie e per i mestieri, ed a votare la legge per la Camera operaia, anche per Loro è spalancata la porta della maggioranza. (Bravo! al Centro e a sinistra. – Si ride. – Invettive a destra.) No, non è vero che Loro sono stati esclusi; è falso ciò che dicono. Nessuno ha mai inteso, di far ciò. Nel mio primo discorso di luglio nella Commissione principale dissi che avrei salutato riconoscente l'unione di tutti partiti su una sola linea
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d'azione, tenute presenti le parole dell'Imperatore: "Noi non siamo mossi da brama di conquista." Il conte Westarp fu il primo a rivoltarsi invelenito contro una tale proposta e a rigettarla ipso facto. Allora io dissi: Va bene! Se i conservatori non vogliono venir con noi, noi continueremo anche senza di loro nella nostra via. In molti rapporti è, anzi, un guadagno, stare nettamente divisi. Ma nessuno ebbe allora né ha oggi l'intenzione di escludere chicchessia. Il programma sul quale i partiti della maggioranza lavoreranno col Governo, esiste. Ogni collaboratore in base a questo programma è il benvenuto, ma non chieda che noi abbandoniamo il nostro programma. Dico che è nell'interesse del Reichstag che la maggioranza rimanga compatta, imperocché essa contiene in sé la garanzia che i lavori del Reichstag vengano espletati come si deve e possibilmente senza attriti. Sarebbe davvero uno stato di cose deplorevole se in mezzo alla guerra mondiale e nel Reichstag tutto andasse a scatafascio, se non vi fosse Governo con fondamenta salde, se il pendolo della politica dovesse muoversi ora a destra ora a sinistra. Come può esser presa una decisione importante per l'Impero, se il Governo non sa di poter contare su una salda maggioranza, colla quale possa compiere i suoi lavori? Le continue oscillazioni politiche dei primi tre anni di guerra, hanno portato qualche vantaggio al popolo germanico? Noi siamo d'opinione che l'unione odierna sia una grande fortuna per il Reichstag e per la nostra patria.
Dico intenzionalmente: nell'interesse della patria. Tutte le misure e le idee che hanno condotto alla forma-
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zione della maggioranza; il programma che Lor signori hanno creato, è ispirato al grande pensiero di terminare vittoriosamente ed onorevolmente la guerra per la grande patria tedesca. Questo è il Leitmotiv, il pensiero fondamentale di tutte queste tendenze politiche di partito; e questo pensiero è giusto, se vogliamo che la vittoria rimanga alle bandiere germaniche. Ed è questo proprio che noi vogliamo. Noi vogliamo per lo meno una pace così buona per la nostra patria come la volete Voi di destra. Noi desideriamo che la pace porti al nostro popolo maggiori vantaggi di quelli che gli porterebbe la pace cui Voi mirate. (a destra) Ma noi riusciremo ad ottenere questa pace solo se le grandi masse del popolo che soffrono duramente a causa della guerra, collaboreranno lealmente e lietamente collo Stato. È questo il pensiero fondamentale che guida la nostra maggioranza. Signori (sempre rivolto a destra) loro perderanno la guerra se faranno la politica secondo le ricette di quel piccolo gruppetto di annessionisti e di pangermanisti. (Approvazioni al Centro e a sinistra.) Vinceranno, invece, la guerra per il bene del popolo tedesco, se attueranno lealmente ed onestamente il programma della maggioranza del Reichstag. C'è fra di noi qualcuno il quale crede che, data la pressione e il malanimo con cui il nemico ci gravita sopra sempre più di settimana a settimana e di mese in mese, potremmo resistere vittoriosamente a questa guerra, se la gran massa degli operai a dei piccoli commercianti, degli impiegati ed anche dei contadini, non compiesse compatta e concorde l'immane lavoro politico statale che viene oggi compiuto? L'Intesa celebrerebbe la
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sua più grande vittoria se la potesse riuscire di escludere il partito socialista dalla collaborazione positiva nello Stato. (Benissimo! a sinistra.) Giudichino il signor von Bethmann-Hollweg come vogliono: È un immenso merito politico suo l'esser riuscito ad attrarre il partito socialista nell'orbita del lavoro positivo nella macchina dello Stato. Noi ci renderemo colpevoli dinanzi alla nostra patria, se attuassimo entro l'Impero quella politica dalla ripulsione, già fallita dal lato internazionale. I socialisti si sono incontrati con noi, partiti borghesi, il 4 agosto, sulla base della difesa della nostra patria. Ma non soltanto i socialisti. Anche gli operai pensano egualmente quando si tratta della difesa della patria. La lega del popolo per la libertà e per la patria, difendeva, in quanto ai fini di guerra, gli stessi identici concetti che io vado qui esponendo. Anche questa lega rifugge dal pensiero di conquista. Anche essa si trova sul medesimo terreno della difesa della patria. Credono Loro di poter attuar questo pensiero rifiutando la collaborazione dei socialisti? In ogni momento mi sta dinanzi il contrasto fondamentale esistente fra le mie opinioni e quelle dei socialisti; lo sanno benissimo i signori all'estremo settore, ché, su questo punto, non vi sono veli. Riverranno anche i tempi nei quali, non essendo più il nostro paese in preda alle fiamme, ritorneremo alle controversie e si riaccenderanno qui dentro fra noi forti dibattiti. Ma finché il fuoco minaccerà la casa e i nemici cercheranno di impossessarsene; finché le fiamme minacceranno la nostra esistenza, la grande massa operaia non dovrà prendere un'attitudine ostile allo Stato. Se passo ad esaminare
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l'opera dei singoli partiti, mi sento tanto obbiettivo da dire apertamente questo: Chi è che ha compiuto il più grande sacrificio nel campo politico di partito? – Il socialismo. Non pensiamo; io comprendo benissimo che cosa significhi per un partito dividersi; per un partito nel quale gli elettori, per la maggior parte, non riescono a comprendere i motivi della scissione. Io comprendo benissimo che cosa significhi per un partito, quando dice: Noi siamo fermamente persuasi della giustezza della nostra collaborazione politica perché la vittoria sia delle bandiere tedesche; noi siamo persuasi che se noi sacrifichiamo ciò che è di più prezioso in un partito, ossia l'unità delle masse che lo compongono, ciò facciamo perché vogliamo proteggere la pace. Questa è la migliore proposta ai rimproveri che la risoluzione di luglio sia stata presa per i motivi politici di partito. Quando mai i conservatori hanno compiuto un sacrificio anche lontanamente simile? Ma dirò ancora di più: Quando mai è stato detto che sia buona arte di Governo, che sia degno di un uomo di Stato, agire in modo che le grandi masse operaie, milioni e milioni di gente, le quali, – come hanno dimostrato le elezioni in misura sempre maggiore – si vengano a mettere fuori dello Stato, in lotta collo Stato stesso? Ora questo dovrebbe avvenire proprio durante la guerra? Oggi, in virtù della guerra con tutti i suoi dolori, si offre la grande occasione che gli operai stessi coi loro capi politici si facciano appresso agli altri partiti e dicano: "Noi condividiamo lo stesso vostro punto di vista della rappresentanza e vogliamo entrare a far parte intellettualmente del grande organismo statale, deporre
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l'ostilità di principio contro lo Stato, pronti a collaborare." Come non si può, in questo caso, da patriotti, stendere lietamente la mano e rispondere: Venite, che noi ci faciliteremo la collaborazione. Sono queste garanzie di politica interna che noi, per resistere e per vincere, dobbiamo dare. Io non mi arretro dinanzi al motto: Chiunque, – come oggi noi col socialismo, e senza rinunciare alle nostre proprie opinioni – nessuno, del resto, ha mai preteso tanto da noi – chiunque collaborerà per il bene comune, quegli farà una politica conservatrice per il bene dello Stato nel miglior senso della parola. (Vive approvazioni al Centro e a sinistra.) Chi mira ad una politica intesa a respingere il socialismo o le masse che gli appartengono, quegli fa la politica più radicale e più anarchica che immaginar si possa. (Rinnovate approvazioni al Centro e a sinistra.) Accogliere nel Governo membri dell'opposizione per principio, è un lieto scopo per qualsiasi uomo di Stato, uno scopo degno anche di sacrifici per esser raggiunto. Se nella mescolanza di colori dell'Impero tedesco si aggiungerà, chiamando i socialisti a collaborare, un colore di più, se invece di violetto, nero, rosa, avremo, per esempio, violetto, nero, rosa, e un po' di rosso, (grande ilarità) è ben sopportabile cosa e niente danno per la totalità. (Approvazioni e ilarità.)
Io so un'altra cosa, più si espone il rosso al sole del lavoro, più esso impallidisse. Se invece viene conservato nelle casse di ferro dei princìpi politici, né mai messo fuori ad operare nel campo pratico, rimarrà sempre di un rosso fiammante quando sarà portarlo a spas-
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so nei giorni solenni del partito. (Benissimo e ilarità.)
Ma signori credono Loro di poter guadagnare allo Stato i milioni di operai che sino allo scoppio della guerra avversarono per principio l'idea di Stato come tale, senza mutare con ciò la struttura di tutto lo Stato? Dal punto di vista politico e costituzionale è una condizione di cose assolutamente insostenibile e malsana quella per cui grandi masse del popolo che lavora e mira a salire rimangano per principio nemiche dello Stato. (Approvazioni al Centro.) Signori, se terranno presente ciò, dovranno ammettere che la maggioranza, la quale ha saputo lavorare insieme con il partito socialista – e io esprimo il desiderio che essa saprà insistere lealmente sino alle fine della guerra in questa collaborazione per attuare il programma, – si è resa straordinariamente benemerita della nostra patria. Le generazioni future, che solo potranno giudicare con occhio sereno quant'oggi avviene, saranno grate alla maggioranza per aver passato sopra a gretti pregiudizi di parte e riguardi egoistici, per aver collaborato e subordinato tutto il gran pensiero di aiutare e di giovare alla patria nell'ora più difficile. (Bravo! al Centro e a sinistra.) A questo pensiero si riallaccia naturalmente ciò che si chiama regime parlamentare. Il deputato von Heydebrand rimase alquanto meravigliato a sentire il Governo parlare in un tono nuovo, vorrei quasi dire in un tono fresco, sicuro. Già; è questa la grande differenza in confronto di prima. (Approvazioni a sinistra.) Prima si chiamarono a far parte del Ministero liberali che poi fecero politica conservatrice. (Approvazioni e grande ilarità.) Ma alla fine della loro vita
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essi hanno dichiarato: "Di me nessuno si è fidato mai." (Nuovo scoppio di ilarità.) Alludo, come indovinate, al signor von Miquel. Se adesso politici liberali entrano a far parte del Ministero, nell'Impero come in Prussia, noi dobbiamo attenderci, poiché conosciamo questi uomini, che essi facciano politica liberale per tutto il popolo nella misura del giusto. (Vive approvazioni al Centro e a sinistra.) Prima si credeva che indossando un'uniforme di Ministro, un uomo politico liberale o radicale dovesse spogliarsi delle sue intime convinzioni. (Interruzioni.)
– Voi non potrete nominarmi un politico liberale che dopo aver ricevuto il titolo di Eccellenza e un portafoglio abbia fatta politica liberale. (Ilarità – voci a destra.) Capisco che per voi (rivolto a destra) ciò è molesto. Chi come voi (a destra), attraverso quasi quarant'anni ha fornito più o meno i Ministri, i Prefetti di prima classe, una gran parte dei pubblici funzionari, è naturale che debba vedere adesso con dispiacere la necessità originata da questa guerra mondiale, la più grande sovvertitrice che esista, di rinunziare ad una parte della sua potenza. Ma se voi fate un sacrificio – e voi dovete fare il sacrificio e se lo farete di controvoglia non ne avrete il compenso, – la nostra patria se ne gioverà. Ciò vale pure per la riforma elettorale prussiana.
Io non voglio confondere le competenze tra l'Impero e i singoli Stati. (Voce dai banchi dell'estrema.)
– Anch'io ho il privilegio di eleggere in Prussia. Io non confondo le competenze, né voglio in nessuna maniera scalzare il ben ponderato e architettato edificio del nostro Impero; però se il deputato von Heydebrand crede di protestare tanto perché un tedesco del Württem-
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berg ha parlato come ha fatto sulla riforma elettorale prussiana, confesso di non comprenderlo. Io dubito che in questa protesta il suo senso politico abbia avuto peso decisivo. Sono anch'io nato nel Württemberg, ma io ho diritto di eleggere in Prussia, giacché ho domandata e ottenuta la cittadinanza prussiana. Il deputato von Heydebrand non se ne dorrà quindi che io tocchi questo argomento; egli potrebbe tutt'al più dire che io non capisco un'acca dell'essenza del prussianesimo. Al che risponderei: Del suo prussianesimo no, grazie a Dio! (Ilarità.) Ma se contro un tedesco del Württemberg, che è Vicecancelliere e Vicepresidente del Consiglio federale – ha dunque il maggiore ufficio dell'Impero dopo quello del Cancelliere – viene manifestato un punto di vista così grettamente particolaristico (vive approvazioni) io non mi perito di dichiarare che la penso affatto diversamente. Noi del Württemberg ci siamo dovuti lasciare per lunghi anni governare dalla Prussia e non ce ne siamo lamentati. Ma in questa protesta, come il deputato von Heydebrand l'ha manifestata, giace una concezione interamente falsa dell'importanza e della posizione della Prussia nell'Impero. (Approvazioni.) La riforma elettorale prussiana non è una questione esclusivamente prussiana, ma è diventata una questione tedesca nel miglior senso della parola, per volontà di sua Maestà l'Imperatore e Re di Prussia. (Vive approvazioni.) Egli ha diretto il suo messaggio di Pasqua non solamente al Presidente del Consiglio prussiano, ma insieme al Cancelliere e Presidente del Consiglio dei Ministri prussiano. Perciò noi abbiamo qui nel Reichstag il diritto, se non di
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decidere, certo di parlare su questo argomento. (Approvazioni.)
Ma non basta. Io ho detto che la riforma elettorale prussiana è divenuta una questione tedesca nel miglior senso della parola, di guisa che noi possiamo manifestare su essa il nostro avviso. La Prussia, appunto per la sua condizione nell'Impero, per i suoi privilegi, soprattutto per essere nel Consiglio Federale lo Stato più forte, ha doveri tutti suoi particolari. Se il deputato von Heydebrand volesse cedere questo primato al Württemberg, noi introdurremo subito un ottimo diritto elettorale. (Benissimo e scoppio di ilarità.) Ma noi non ne abbiamo bisogno. Noi nel Württemberg abbiamo il diritto elettorale eguale già dal 1868 e ce ne siamo trovati assai bene. Noi non abbiamo, è vero, collegi elettorali sinecura – anche in Prussia, attuata la riforma questi collegi diminuiranno, – noi dobbiamo lavorar tutti assai nel campo politico. (Approvazioni.) Data l'egemonia della Prussia nell'Impero è naturalissimo che il Reichstag si occupi di tali questioni e manifesti il suo avviso.
Qual è in realtà il Governo dell'Impero? Il Ministero prussiano. Questo è l'organo, come noi tutti sappiamo, che prepara tutte le leggi per l'Impero, che fa, nel vero senso della parola, le leggi. Il Ministero di Stato prussiano è l'organo che prepara il regolamento per l'esecuzione delle leggi dell'Impero. Chiunque è da un pezzo al Reichstag sa quanti conflitti sorgano dal fatto che la composizione nella Camera prussiana è diametralmente opposta a quella del Reichstag. Noi sappiamo pure quali attriti nascono dalla composizione non omogenea. Noi sap-
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piamo quali lotte il Ministero degli Interni dell'Impero deve combattere da anni contro il Ministero del Commercio prussiano ad ogni disegno di legge politico sociale. Le grida di dolore dei Segretari di Stato del Tesoro verso il Ministero delle Finanze prussiano, specie durante l'amministrazione Miquel e Rheinbaben sono noti a sufficienza a tutti i più anziani membri di questa Assemblea. (Approvazioni al Centro e a sinistra.) L'attuale Segretario di Stato del Tesoro sorride assai soddisfatto. Io gli auguro che nella sua grande riforma finanziaria non abbia a urtare contro simili difficoltà. A lui sarà certamente gradito di non dover compiere un lavoro vano. Il contrasto che si protrae da decenni fra Impero e Prussia deve una buona volta essere composto nell'interesse dell'universalità.
E ancora. Il deputato von Heydebrand ha avuto belle parole per il nostro magnifico esercito; parole cui ognuno consente senza distinzione di partito. Senonché il nostro esercito non chiede parole. Ogni soldato sa ciò che ha dato e ciò che ha fatto e chiede, al suo ritorno, il suo diritto. (Vive approvazioni a sinistra.) Signori, credete voi che i soldati delle trincee, partiti per il fronte sotto il regime del sistema elettorale da riformarsi sarà soddisfatto di un sistema nel quale il più infelice mutilato, che ha dato alla patria braccia e gambe, abbia un sol voto, mentre chi è rimasto a casa può procurarsene fino a sei? (Approvazioni a sinistra.) Se voi dite o signori, che la nostra risoluzione per la pace ha avuto effetti perniciosi nell'esercito, aspettate di vedere l'eco di simili proposte! (Vive approvazioni al
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Centro e a sinistra.)
Perciò io dico: Da questi punti di vista generali noi abbiamo non soltanto il diritto, ma il dovere di parlare della questione della riforma elettorale. Anche nell'interesse d'ogni partito! Tutti i partiti hanno interesse, senza distinzione del loro credo, alla composizione della Dieta prussiana e al contegno verso le questioni fondamentali dei partiti in Prussia. Queste furono anche le ragioni decisive che mossero pure la maggioranza del Reichstag dopo la pubblicazione del Messaggio di Pasqua e del 13 luglio 1917 ad accogliere la pronta e leale attuazione della riforma elettorale prussiana fra quei punti del programma che unì la maggioranza e che il Governo dell'Impero accettò.
Noi siamo convinti che dopo le dichiarazioni del Cancelliere e del Vicepresidente del Ministero prussiano, dopo le dichiarazioni del Vicecancelliere von Payer sulla riforma elettorale, sarà possibile di arrivare quanto prima ad una soluzione soddisfacente della questione. (Applausi a sinistra.) Quanto più presto, tanto meglio per la Prussia e per l'Impero. Giacché riflettete, signori, che se adesso non si giungerà a intavolare trattative di pace – previsioni non sono possibili, – non v'ha dubbio che il nostro popolo, ostinandosi i nemici a continuare la guerra, a imporci questa continuazione, va incontro a tempi ben duri. Né il Governo, né altri può dare al nostro popolo più patate, più pane, più grasso di quello disponibile. Né la più spietata lotta contro il commercio clandestino può moltiplicare i viveri; solo la distribuzione può divenire più giusta.
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Il nostro popolo lo sa. E ad ogni modo è meglio dirlo apertamente al popolo, dirgli che cosa può ancora aspettarsi invece di parlargli sempre di vittoria, sicché egli si domanda perché mai, dunque, la pace non sia ancora un fatto compiuto. È meglio dare al nostro popolo tutto – egli lo sopporta e, comunque, si evitano le delusioni, – dirgli che deve ancora sopportare sacrifici, ostinandosi i nemici nella loro volontà di guerra e di conquista. Più pane, più patate, più grasso noi non possiamo dare al popolo, le condizioni non ce lo permettono; una cosa simile è impossibile. Ma al popolo noi possiamo dare tuttavia qualche cosa. Dategli la libertà e il diritto a una propria politica ed opinione, alla libera pratica della sua fede religiosa! (Vivi applausi.) Ciò darà al popolo vigore e novello per poter sopportare tutti i pesi della guerra. Chi si oppone all'appagamento di queste esigenze del popolo sulle quali tutte le classi sono unanimi, non giova alla nostra patria. Noi del Centro ci incamminiamo verso l'êra nuova. Noi sappiamo che una nuova êra è alle porte. Credete voi che le trasformazioni già originate da questa guerra e che cresceranno quanto più essa durerà, possono restare senza efficacia sullo spirito e il modo di pensare del nostro popolo? (Approvazioni a sinistra e al Centro.) Ogni partito che non si rinnuovi è destinato a morire. (Approvazioni a sinistra e al Centro.) Noi del Centro siamo profondamente persuasi di essere in grado di soddisfare a tutti i compiti, per difficili che siano, anche nella nuova Germania. Allorché i soldati torneranno a casa, coronati dei ben meritati allori, noi, tanto più lieta-
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mente quanto più saranno, lavoreremo con gli altri partiti a curare tutte le ferite della guerra e a promuovere la rinascita della nostra vita economica. La nostra mèta è una Germania il più possibile unita. Per ciò il Vicecancelliere von Payer ha avuto ragione di mettere innanzi tutto l'unità e la concordia. (Approvazioni al Centro e a sinistra.) Forse questa discussione è stata anche una condizione per ottenere una maggiore concordia. Io ripeto: Il nostro scopo è di ottenere una Germania più unita. Dura è la necessità dell'ora, il nostro popolo può resistere e resisterà soltanto se noi tutti dimostreremo piena assoluta fiducia sia nella direzione politica, sia nella direzione militare del nostro Impero, come è stato manifestato dalla maggioranza e come anch'io voglio manifestare. Se così sarà il nostro popolo tedesco non avrà mai nulla da temere. (Applausi scroscianti al Centro e a sinistra.)
Empfohlene Zitierweise
[Erzberger, Matthias], Il discorso tenuto al Reichstag germanico dall'onorevole Erzberger, nella seduta del 27 febbraio 1918 vom vor dem 12. März 1918, Anlage, in: 'Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929)', Dokument Nr. 8018, URL: www.pacelli-edition.de/Dokument/8018. Letzter Zugriff am: 28.03.2024.
Online seit 02.03.2011.